Corriere della Sera

L’ex detenuto diventato una star «La prova che Dio sa perdonare»

Sfila a Cannes per Philipp Plein. La svolta romantica del marchio «rich-kid»

- Michela Proietti

Fino a qualche anno fa un orologio con queste caratteris­tiche — e a questo prezzo — avrebbe potuto esser bollato come fake news. Oggi, grazie ad una intelligen­te forma d’industrial­izzazione possiamo avere a meno di mille euro un bell’orologio con cassa in acciaio (39 mm di diametro) e un movimento meccanico a carica automatica con bilanciere ad inerzia variabile, spirale in silicio e autonomia complessiv­a di 80 ore. E precisione l «rich-kid» è diventato un romanticon­e? A vedere le gonne a corolla in nido d’ape, i jeans ricamati un po’ hippie e gli abiti flamenco in pizzo nero che hanno sfilato in un giardino di palme e banani, parrebbe di sì. Ma a quattrocch­i, Philipp Plein, ci riporta con i piedi per terra: il suo fiuto insegue ancora una volta il business. La collezione Resort 2018 presentata mercoledì nella Jungle du Roi, la sua mansion in Costa Azzurra, è una strategia ragionata per un marchio che fattura ormai 220 milioni all’anno. «Dalla resort collection oggi arrivano il 60% dei ricavi — ha detto Plein al termine dello show —. Possiamo sfilare in posti esclusivi e poi le cruise spezzano la monotonia delle collezioni».

Per il debutto della sua Resort 2018 uomo e donna ha scelto la Cannes mondana del Festival. E invece dei modelli ha voluto Millennial­s (Sophia Ritchie), personalit­à combattive (Winnie Harlow, la modella con la vitiligine), coppie celebri (Paris Hilton con il fidanzato Chris Zylka) e Jeremy Meeks, il detenuto più bello del mondo, un passato di 27 mesi in prigione per possesso illegale di armi da fuoco e un futuro in passerella. Per Jeremy è stata la prima passerella europea: prima di Cannes aveva già sfilato a New York. «Vorrei rappresent­are un modello positivo — ha detto nel backstage —: la mia storia è la prova che Dio non ci abbandona e sa perdonare. A quelli che pensano di arrendersi dico di non perdere mai le speranze e continuare a crederci».

Discorsi profondi al termine di uno show evanescent­e, dove Alec Monopoly, graffitaro milionario newyorches­e, è uscito in passerella con la mascherina sterile (vuole mantenere segreta la sua identità) per disegnare con lo stencil la gonna di Winnie Harlow: le sufficient­e a superare i test del Cosc, Contrôle Officiel Suisse des Chronomètr­es, l’ente svizzero che attesta la qualifica di orologio di particolar­e precisione. Sia chiaro: questo non vuol dire che con mille euro possiamo avere un orologio di qualità equivalent­e ad uno da dieci o ventimila euro: le differenze ci sono (il bilanciere è comprensib­ilmente «sbrigativo», alcune parti funzionali sono in materiale sintetico, la finitura non è quella dei primi della me un cinquetasc­he. Per l’uomo jeans in tutte le salse: strappati, borchiati, con patch, dipinti e decorati, da indossare con sneakers bianche. E poi la pelle in puro street style couture, anche questa personaliz­zata dalla vernice spray di Monopoly, che per dare la sua impronta a questa collezione si è trasferito da Los Angeles nella villa di Plein. «Io e il mio team abbiamo lavorato per oltre un mese qui per dare vita a un guardaroba che prendesse ispirazion­e dal giardino», ha commentato Plein, che ha spedito non più di 250 inviti tra stampa, influencer e celebritie­s come Eva Longoria e il marito Pepe Baston, l’ex direttore di Vogue Francia Carine Roitfeld e la figlia modella Julia e un plotone di bellissime a caccia di flash.

Uno show in puro stile Plein, con un murales di fiori all’ingresso, orchestra R’n’B dal vivo, macarons, sushi e una fontana usata come frigidaire per le bottiglie di champagne. «A Milano, con le nostre sfilate-evento, abbiamo toccato l’apice. Era giusto andarsene al massimo del successo, non avremmo potuto superarci», ha detto Plein spiegando la decisione di sfilare a New York .

Riflession­i in linea con la strategia di rilancio internazio­nale del marchio, che ha portato alla creazione della linea Plein sport e alla nomina di Roberto Magnani come direttore dello sviluppo worldwide di Philipp Plein internatio­nal group. «In futuro può darsi che torneremo, sono sempre pronto a rimettermi in discussion­e. Chi non si rinnova non può fare questo mestiere: ieri ero rock, oggi sono romantico. Ma aspetto che il sistema moda italiano si svecchi e si liberi dall’invadenza dei grandi gruppi».

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