Corriere della Sera

Scegliere il cucciolo Le tre regole da rispettare

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o e Puck, il mio migliore amico. Sono seduto su una roccia calcarea, all’ombra di una vecchia quercia. L’incanto della natura, appena accarezzat­a dalla primavera, ci regala quella serenità che nel chiuso di quattro mura non riusciamo a percepire. Un alito di vento basta a rinfrescar­e l’aria, con i primi raggi del sole, già capaci di scottare. Lui è steso accanto a me, su un letto di foglie morte, che le grandi nevicate dell’inverno hanno ridotto a poltiglia. Lo guardo, preoccupat­o, perché respira a fatica, nonostante Come si sceglie un cane? Non è infrequent­e che un cane finisca al canile perché ha morso e ferito gravemente il bimbo piccolo. Il proprietar­io non si dà pace e lo descrive come un cane buono, giocherell­one. Ma non lo vuole più riportare a casa. I canili italiani sono pieni di cani di razza pitt bull e dogo argentino, acquistati talvolta con po’ di imprudenza ma anche da chi è convinto di poterli educare e gestire e che, invece, rischiano per una distrazion­e tutta umana di finire la loro vita da reclusi. La decisione di avere un cane come pet va ben ponderata esattament­e come la scelta di quale cane. Daniele Mazzini (foto), istruttore cinofilo della Polizia locale di Milano, che forma cani antidroga, e collabora da tempo con il Corriere della Sera, invita a «distaccars­i dalle emozioni che una razza di cane vista in un film o in un negozio per animali ci ha fatto scaturire» e piuttosto di «rivolgerci ad un energie spese nello sforzo fisico, la mente corre veloce. E allora cominciamo a ricordare i sedici anni di convivenza totale, che hanno lasciato nei nostri cuori una traccia indelebile, da quando lui è comparso nella mia vita, batuffolo nero.

Sono certo che anche per lui è così. Sono certo che quello di noi che avrà la cattiva sorte di sopravvive­re all’altro, avvertirà un vuoto tremendo. C’è un numero infinito di storie di cani che hanno atteso anni il ritorno del proprio amico. Stavo per scrivere padrone, ma sarebbe sbagliato: noi due abbiamo vissuto alla pari.

Sono passate alcune settimane. Quando il tempo lo permette, torniamo sempre a riposare insieme all’ombra della nostra quercia. Ma Puck ha smesso di mangiare, di bere, di muoversi. Rimane così, l’enorme corpo steso sul tappeto, accanto al mio letto. Passano ancora due giorni e due notti. Mi sdraio accanto a lui, per accarezzar­lo. Sta combattend­o la sua ultima battaglia, e voglio che mi senta vicino. Io e lui, come sempre. Ad un tratto solleva a fatica l’enorme testa, mi guarda negli occhi, è il suo ultimo saluto. Abbandona di nuovo la testa a terra, il respiro diviene più affannoso, poi il cuore si ferma.

Ora il mio amico è sepolto sotto un cumulo di pietre, all’ombra della nostra quercia. Ogni giorno salgo lassù, per stargli vicino. Gli parlo. Gli urlo che lo odio. Lo maledico, perché è arrivato per primo nella meraviglio­sa corsa verso il traguardo della morte. L’eco del mio grido scende fino a valle. E poi gli sussurro che mi manca, adesso e per tutto il maledetto tempo che mi resterà ancora da vivere, senza di lui. Anche oggi sono tornato su, sperando di ritrovarlo, all’ombra della vecchia quercia.

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