La vocazione di Taranto e il rischio di doppioni
Il gruppo ArcelorMittal, leader mondiale della produzione di acciaio, è a un passo dalla conquista dell’Ilva. Per l’aggiudicazione formale bisognerà attendere ancora qualche giorno ma l’offerta presentata assieme a Intesa Sanpaolo e al gruppo Marcegaglia sotto la sigla di Am Investco Italy sembra aver sbaragliato i concorrenti per la cifra offerta (1,8 miliardi), gli investimenti promessi (2,3 miliardi), gli obiettivi della produzione (fino a 9,5 milioni di tonnellate) e la salvaguardia dell’occupazione a livelli elevati. Per il sistema Italia è una buona notizia perché il futuro di Taranto appare meno nebuloso di quanto lo sia stato per un periodo molto (troppo) lungo e sicuramente il coinvolgimento del leader mondiale del settore sembra aver dato ai commissari maggiori garanzie rispetto alla cordata rivale. Naturalmente una volta terminata la procedura italiana con il contratto definitivo — forse già attorno alla metà di giugno — bisognerà attendere che si pronunci Bruxelles, che le autorità Ue vaglino il risultato della gara per l’Ilva alla luce delle norme antitrust ed in caso fissino le condizioni per dare il via libera. Ma anche nel caso che la Ue alla fine obbligasse ArcelorMittal a effettuare cessioni di impianti minori per rimanere sotto la soglia fissata dalla severa normativa antitrust c’è comunque l’impegno del gruppo vincitore a non toccare la capacità produttiva in Italia, a non tagliare né Taranto né Cornigliano né Novi Ligure.
Un’operazione complessa come la vendita dell’Ilva però alimenta, anche giustamente, riflessioni sul futuro perché le fusioni danno vita molto spesso a riorganizzazioni ed eliminazioni dei cosiddetti doppioni. Di conseguenza una volta passato senza danni l’esame di Bruxelles bisognerà integrare Taranto in un gruppo che già è frutto di un merger (tra i francesi di Arcelor e gli indiani di Mittal nel 2006) e che possiede in Francia due altri impianti a ciclo integrale a Dunkerque e Marsiglia-Fos. Non c’è il rischio che i nuovi padroni dovendo scegliere possano alla fine rimaneggiare l’impianto pugliese tagliando l’area primaria, rifornendo lo stabilimento pugliese dalla Francia e magari investendo di più nella secondaria? Sulla base del piano presentato da Am Investco Italy quest’eventualità per ora sembra esclusa e non è cosa di poco conto visto che l’area primaria è labour intensive e un suo ridimensionamento avrebbe conseguenze negative sull’occupazione e sulla tenuta dell’indotto Ilva. ArcelorMittal è convinta di poter saturare tutti e tre gli stabilimenti a ciclo integrale grazie alla crescita del business prevista sul mercato europeo e a un forte recupero di competitività. In più ci si attende che la Ue intervenga finalmente a tutela della siderurgia continentale adottando misure che evitino il cosiddetto dumping cinese, impediscano che la sovraproduzione di Pechino invada i nostri mercati. Dopo tante peripezie oggi c’è molto ottimismo attorno al futuro di Taranto, la soluzione del rebus industriale e occupazionale sembra a portata di mano ed eventuali (e limitate) eccedenze di personale potrebbero essere impiegate nei lavori di bonifica finanziati con gli 1,3 miliardi recuperati dai Riva.