Il sesso e la vendetta
Scene hot in «L’amant double» Vacth: ma non sono una vittima Il regista: mi ispiro a Hitchcock
Assuefatti a tutto quello che si vede su Internet, lo scandalo sessuale al Festival era finito nei souvenir vintage. Ma ecco che in L’amant double François Ozon risveglia i sensi dello spettatore, il quale applaude una scena e non sai se per l’audacia, il senso liberatorio oppure il senso del ridicolo che suscita. Alla fine consensi e qualche buuh: c’è chi dice che è una storia tagliata sul gusto del presidente di giuria Pedro Almodóvar, e allora prudenza.
La scena scandalosa, dunque. Marine Vacth, l’attrice dolce e torbida col volto da Bambi che dai tempi di Giovane e Bella (Cannes 2013) esaudisce ogni fantasia del regista, si mette un fallo finto e sodomizza il fidanzato. Quello dolce, perché ha un fratello gemello che è un tipetto aggressivo, «arrogante e manipolatore» lo descrive il regista. Non è chiaro se quella scena nasca da un incubo o sia verità, ma ormai il fallo è tratto. Altra scena hot, quando la cinepresa, dalla ginecologa, scruta le parti intime. Il regista lo definisce «un thriller erotico». Ha adattato un romanzo di Joyce Carol Oates, cita come fonti ispiratrici, Hitchcock, Truffaut e Inseparabili di Cronenberg: «Ma se lì la storia si sviluppa dal punto di vista dei gemelli, qui si impone la vittima dei due fratelli diabolici».
Una ragazza depressa e con problemi allo stomaco va dallo psichiatra. Lui, rompendo il codice etico di condotta, ha una relazione con lei; dal lettino al lettone, vanno a vivere insieme. Ma le nasconde una parte (intima) della sua vita: l’esistenza del fratello gemello, con cui non si parla da anni. La bella Marine lo vuole conoscere, il gemello fa lo stesso mestiere, lei va in terapia anche con lui e ci finisce a letto.
Ozon dice che sono «due archetipi maschili», aggiunge che «in ogni rapporto c’è bisogno di uno spazio mentale dove la fantasia si esprime», paragona la natura selvaggia di Marine Vacth (che è anche modella) a Brigitte Bardot; parla di «fragilità, vulnerabilità, dualità», per spiegare il comportamento della protagonista. «Ma nel film non sono una vittima, né di me stessa né degli altri», sostiene Marine. Ruolo doppio sia per lo strizzacervelli biondo Jérémie Renier (già attore di Ozon in Potiche), sia per Jacqueline Bisset (a Cannes fece il suo debutto nel 1963), madre anaffettiva di Marine e di una ragazza che un tempo aveva diviso i gemelli. Acuta e ironica, Jacqueline dice che nel film «non ho scene erotiche e non sapevo come contribuire» alla causa di un erotismo che ha spinto l’asticella del desiderio oltre il comune senso del pudore, che al Festival è un concetto senza senso.
Certo lascia ammirati la perversa naturalezza con cui Marine Vacth affronta questa sfida che indaga su dove vanno a parare le follie di un adulterio fuori dagli schemi. Ozon dice che per portare nei Paesi arabi il suo film del 2002 8 donne e un mistero, «ho dovuto tagliare la scena del bacio tra Catherine Deneuve e Fanny Ardant». Ma la notizia del giorno è che Cannes ha trovato finalmente il suo scandalo sessuale, anche se è una carnalità di plastica, che ricorda il Rodin scolpito nel piombo, altro film francese di un’edizione non proprio da antologia.
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