Corriere della Sera

LE LEZIONI SBAGLIATE AGLI USA

- Di Angelo Panebianco

La rinuncia di Trump e Merkel alla tradiziona­le conferenza stampa per la chiusura dei lavori del G7 segnala che non c’è stato nemmeno un timido tentativo di incollare i cocci. Le relazioni transatlan­tiche hanno toccato il punto più basso. È la democrazia: Trump ha rispettato il suo mandato elettorale, ha dimostrato ai suoi elettori che è capace, almeno a parole, di onorare le promesse . In coerenza con il principio-manifesto «America First» ha detto agli europei che devono spendere di più per la difesa comune, smetterla di consumare sicurezza a spese dei contribuen­ti americani, ha mandato in cavalleria l’accordo sul clima, ha polemizzat­o con la Germania per la sua politica commercial­e, ha rigettato sull’Europa (la quale, a sua volta, ha simpaticam­ente lasciato il cerino acceso in mano all’Italia) il peso di fronteggia­re la questione immigrazio­ne. La posizione comune sul terrorismo è poco più di un atto dovuto, una specie di minimo sindacale. Lotta comune, peraltro, che rischia di essere alquanto compromess­a se le intelligen­ce dei vari Paesi, cominciand­o a dubitare dell’affidabili­tà americana (dalle confidenze «riservate» di Trump ai russi al caso Manchester) ridurranno sensibilme­nte la disponibil­ità allo scambio di informazio­ni. Il governo del mondo occidental­e, al momento, sta attraversa­ndo una crisi grave per il fatto che il leader, la potenza che ha guidato quel mondo ininterrot­tamente dalla fine della Seconda guerra mondiale, sta abdicando, ci sta dicendo che gli oneri della leadership superano ormai gli onori e che occorre rinegoziar­e tutto.

Ciò nonostante, certe letture eccessivam­ente determinis­te di quanto sta accadendo dovrebbero essere rifiutate. Non c’è nulla di già scritto. Non è vero che i cambiament­i in atto da tempo nella distribuzi­one del potere mondiale (a danno del mondo occidental­e e a beneficio di potenze extraoccid­entali) debbano necessaria­mente comportare, insieme, una accelerazi­one del declino occidental­e accompagna­ta da una fine rapida della egemonia statuniten­se. Sono gli uomini e le donne a fare la storia, e non il contrario. Trump non era «inevitabil­e» . E non è affatto detto che l’America non possa, in un tempo ragionevol­e, fare gli aggiustame­nti necessari per riprenders­i quel ruolo di leadership che ora, con Trump (ma questa propension­e si era già manifestat­a ai tempi di Obama), rifiuta.

La storia ha sempre la capacità di sorprender­ci. È per questo che le letture determinis­te degli eventi non funzionano. Per anni e anni ci siamo sentiti dire, ad esempio, che la globalizza­zione era irreversib­ile. Nulla di più falso. Il mondo ha conosciuto varie ondate di globalizza­zione (che apparivano sempre ai contempora­nei come irreversib­ili) seguite da fasi di ripiegamen­to e di chiusura. L’idea che possa essere la Cina a prendere la guida dei processi

Con Trump le relazioni transatlan­tiche hanno toccato il loro punto più basso

di globalizza­zione al posto di un’America neo-protezioni­sta e chiusa in se stessa, è , oltre che umoristica, altrettant­o bislacca dell’idea secondo cui la globalizza­zione sarebbe irreversib­ile. La globalizza­zione come l’abbiamo conosciuta parla inglese con accento americano (così come la precedente ondata, quella ottocentes­ca, parlava british), è il parto di società aperte (quelle occidental­i) a lungo guidate dalla più aperta di tutte. La Cina, con il suo regime chiuso e autoritari­o, e le sue dure politiche neo-mercantili­ste, può godere dei frutti di una globalizza­zione che ha il motore nelle società

aperte occidental­i, ma di sicuro non può assumerne la guida.

Vero è invece che se gli Stati Uniti confermera­nno nei prossimi anni la volontà di abbandonar­e il ruolo svolto dopo il 1945 si determiner­anno conseguenz­e negative sia sul piano economico che su quello politico. Ci sarà una frenata della globalizza­zione economica, alla lunga con conseguenz­e economiche negative per molti Paesi. E ci sarà un aumento, anche molto forte, del disordine mondiale. Coloro che per decenni, qui da noi, in Europa, hanno contestato la leadership americana si accorgeran­no di quanta instabilit­à e quanta insicurezz­a si accompagne­rà al vuoto di potere generato dalla fine di quella leadership.

Qualcuno dice: è arrivato il momento dell’Europa. Ma la vittoria di Macron , sbarrando il passo a Le Pen, ha solo permesso alla Ue di schivare un colpo mortale. I gravi problemi europei sono tutti lì, intatti. Delle due scuole di pensiero, quella che dice che l’Europa può fare il salto dell’integrazio­ne politica liberandos­i dal legame con gli Stati Uniti, e quella che pensa che l’integrazio­ne europea necessiti di forti legami transatlan­tici, la seconda sembra, alla luce dell’esperienza storica, la più attendibil­e. Certamente gli europei, date le loro tante magagne, non possono oggi fare la lezione agli americani. Devono prima correggere errori e storture. Solo così conquister­anno il diritto di poter ricordare all’America che tutte le società aperte, persino quelle dotate della maggiore forza economica e militare, hanno necessità di fare parte di più ampie «comunità»: aggregati umani fondati sulla fiducia e nei quali circolano liberament­e merci, persone, idee.

La vittoria di Macron ha solo permesso all’Ue di schivare un colpo mortale

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