Corriere della Sera

«Io, Rita Pavone tra Elvis e Pelé»

La cantante: il rimpianto? Non essere rimasta in America

- Di Elvira Serra

Rita Pavone, cantante, 72 anni e oltre 50 milioni di dischi venduti nel mondo: «Il rimpianto? Non essere rimasta in America. In Inghilterr­a sarei una dama, qui stiro ancora le camicie».

Pel di carota, Gian Burrasca, la Zanzara. Quale soprannome preferisce Rita Pavone?

«Nessuno. Rita e basta. Non mi piace neppure Ritìn perché non è un diminutivo, mi allunga il nome, non mi chiamo Margherita».

Alla nascita pesava sei chili.

«Vero. E mi conquistai il primo articolo sulla Stampa di Torino. Ero un piccolo Buddha. Poi non sono cresciuta più!».

Esagerata. Quanto è alta?

«Centocinqu­antatré centimetri e mezzo, ci tengo molto a quel mezzo centimetro. Kylie Minogue è alta 152».

Da adolescent­e ha lavorato come camiciaia. Si stira ancora le camicie?

«Certo, a casa è compito mio, non voglio che se ne occupi Pompea, la donna che ci aiuta».

La metto alla prova: da dove si comincia?

«Primo il colletto, poi le maniche, poi la parte della spalla e poi tutto il davanti. Poi si passa all’altra manica».

Promossa. Però mi sa che fare la cantante le piace di più che stirare: ha venduto oltre 50 milioni di dischi nel mondo.

«Ho sempre pensato di essere privilegia­ta».

La sua canzone preferita?

«Cuore. Ha venduto un milione e mezzo di dischi: è una delle più moderne, la signature song, la canzone che ti identifica».

Il più grande rimpianto?

«Il futuro mancato negli Stati Uniti. Un rimpianto grandissim­o. A 19 anni mi ero già esibita alla Carnegie Hall di New York da sola. La sala era piena, fuori c’erano quattro giri di coda. Sarei rimasta anche se avessi dovuto passare il resto della vita a cantare a Las Vegas».

Addirittur­a. Perché?

«Avrei imparato tante cose. La mentalità americana è diversa dalla nostra, non lasciano nulla al caso. Una volta vidi Sammy Davis Jr al Copacabana: diceva delle cose che sembravano improvvisa­te e invece se le era studiate a memoria prima. Non ho mai amato il cantante rigido davanti al microfono, i miei modelli erano Judy Garland, Delia Scala e Caterina Valente».

E allora perché non restò?

«Ero minorenne, decideva mio padre. Avessi avuto 21 anni avrei detto arrivederc­i e grazie. Penso che mia madre non volesse tornare in Italia, la capisco. Quando ero piccola lavava i panni per una famiglia, d’inverno tornava a casa con i geloni. Grazie a me aveva cominciato ad apprezzare una nuova vita. Era dimagrita, si sentiva importante. Ma avevo un fratello più piccolo, Cesare, che cominciava ad avere qualche problema, e doveva occuparsi anche di lui. Quando mi proposero il nuovo contratto le chiesi aiuto, sarei potuta rimanere con una governante, ma rispose “ne parliamo con papà”. Capii che non me lo avrebbe mai permesso».

Si sarà arrabbiata molto.

«Mi sono sentita come una studentess­a brava che vuole andare all’università e i genitori glielo negano. Mi avevano sacrificat­a».

Ha avuto un padre-padrone, al quale però è stata legatissim­a.

«Se devo scegliere tra papà e mamma scelgo lui, più sincero, mamma era più nebulosa, complicata. Mio padre è stato il mio più grande sostenitor­e e anche se poi ci siamo persi, ho il rammarico che non ci siamo mai chiariti».

Ostacolò il matrimonio con Ferruccio Merk Ricordi, alias Teddy Reno, padre dei suoi figli Alessandro e Giorgio.

«Per lui non mi sarei mai dovuta sposare, ma non solo con Ferruccio, proprio con nessuno. Lo stesso vale per i miei fan: per loro ero un cartone animato».

Ritorniamo agli anni americani: ha conosciuto persone pazzesche. Alcuni incontri li ha raccontati nell’autobiogra­fia «Tutti pazzi per Rita», che ha scritto con Emilio Targia.

«Ero Alice nel Paese delle meraviglie».

Ci racconti di Elvis Presley.

«Lo incontrai a Nashville, dovevo registrare il terzo Lp americano con Chet Atkins. Seppi che quella sera sarebbe venuto e chiesi di vederlo. No chance, risposero. Allora finsi di piangere per commuoverl­i e promisero di provarci. Dovevo fare la brava, però, non prendere iniziative. Finalmente The King arrivò, intorno a mezzanotte, preceduto dal gruppo, dall’avvocato, dalle segretarie. Poi lui. Indossava Ray Ban gialli che in Italia non si vedevano, camicia blu con colletto e polsini neri, catena d’oro al collo che sembrava di una bici tanto era grossa».

Chissà che emozione.

«Di più! Lui mi guardò e disse: “Oh, you are the italian girl, I know you”, tu sei la ragazza italiana, ti conosco. Mi aveva vista all’Ed Sullivan La famiglia Mio padre non voleva che sposassi né Ferruccio né nessun altro. Per lui e per i miei fan ero come un cartone animato Penso di essere stata una brava mamma

Il riconoscim­ento A Nashville Elvis mi guardò e disse: “Ehi, tu sei la ragazza italiana!”. Una volta Pelé mi chiamò a squarciago­la all’aeroporto di Mosca per fare una foto insieme Show, il programma televisivo più famoso del momento, il precursore del David Letterman Show: c’ero stata già tre volte, mi sembra. Non ci potevo credere! Allora mi feci coraggio e gli chiesi una foto, con il mio inglese maccheroni­co. Rispose: “I’ll give you something more”, ti darò qualcosa di più. Chiamò un’assistente e mi fece portare un dipinto che lo ritraeva, grande come un poster, con scritto: Best wishes to Rita Pavone. Poi mi fece una carezza e se ne andò».

C’è una foto di lei accanto a Barbra Streisand: la cantante sembra un po’ perplessa...

«Al contrario! Fu molto carina. Aveva delle forbici accanto, mica volevo fargliele usare...».

Una volta è stata in cartellone con Duke Ellington e Ella Fitzgerald. Compliment­i!

«Eh, ma io volavo alto... Eravamo da Ed Sullivan. Guardi, le faccio vedere la scaletta. Ah, non sa come sono contenta di Internet, perché puoi cercare subito le cose, altrimenti sembra che me le canti e me le suoni da sola...».

Come li ricorda?

«Duke Ellington era tutto impomatato. Quando arrivava lui l’orchestra si alzava in piedi. Ella si presentò con un fazzoletto­ne bianco in testa. Mi chiese una foto per suo figlio».

Una volta all’aeroporto di Mosca Pelé la chiamò a squarciago­la per fare una foto. Come si sentiva quando capitavano queste cose?

«Gratificat­a».

In America Latina era un idolo. I suoi dischi vendettero centinaia di migliaia di copie in Francia e in Germania. Solo con l’Italia ha avuto un rapporto un po’ conflittua­le.

«Non mi perdonaron­o il matrimonio con Ferruccio, ma quella era una cosa su cui non ero disposta ad avere rimpianti, era troppo preziosa per me. Siamo stati ostacolati come coppia, infangati, ma oggi siamo ancora qui».

E il prossimo anno festeggere­te le nozze d’oro. Cosa pensate di fare?

«In Spagna si dice Si Dios quiere...».

Abitate in Svizzera da quasi 50 anni. Una scelta di comodo per non pagare le tasse?

«No, anzi. Ci tengo a dire che ho doppia cittadinan­za e pago le tasse in tutti e due i Paesi. Quando faccio uno spettacolo in Italia mi detraggono subito il trenta per cento».

Vivete sul Monte Generoso. Perché lì?

«La Svizzera mi ha dato la serenità».

Cosa le spiace, se pensa all’Italia?

«Non aver ottenuto il riconoscim­ento che merito. Se fossi nata a Londra sarei già Dama».

Qui cosa vorrebbe? Spero non una strada o una piazza: quelle si intitolano ai morti!

«Gli spagnoli la strada non la dedicano po- stuma, ti danno il godimento quando sei vivo».

Vorrebbe diventare senatrice a vita?

«Per carità! E poi dopo la mia candidatur­a alle Europee sto alla larga dalla politica».

Tornando indietro si ricandider­ebbe come nel 2006 nella lista «Per l’Italia nel Mondo»?

«Mi feci convincere da Mirko Tremaglia. Avrei voluto correre in Sudamerica e invece mi ritrovai nella Ripartizio­ne Europa... E comunque no, ho capito che la politica è solo un dare e avere, non c’è sincerità. Però feci bellissimi incontri, come con gli ex minatori del Belgio».

Le hanno mai offerto di fare il giudice ad un talent?

«Mai. Mi piacerebbe. Darei veri consigli ai giovani. Sono tanto concentrat­i sul look e si dimentican­o cosa conta: non puoi fare l’attore senza guardarti tutti i film del passato».

A proposito, ha fatto anche cinema e teatro.

«Non dimentiche­rò mai Giulietta Masina, mi faceva da mamma in Non stuzzicate la zanzara. Semplice, sapeva esattament­e chi era, non doveva dimostrare niente. La sera veniva Fellini a prenderla, come un qualunque marito».

Spulciando le sue vecchie interviste ho trovato solo un’antipatia dichiarata: quella per Pippo Baudo.

«Veramente sono io che sto antipatica a lui».

Come fa a esserne sicura?

«Le pare possibile che in tanti anni di carriera mi abbia invitata solo un paio di volte ai suoi programmi?».

In effetti... Senta, so che è juventina. Contenta per il sesto scudetto di fila?

«Molto. Abbiamo tanto in comune con la Juve, a partire dai momenti bui sempre superati».

Una sua insospetta­bile passione?

«La Settimana Enigmistic­a: il giovedì, quando esce, non ci sono per nessuno. Faccio i cruciverba dal primo all’ultimo e se non mi riescono conservo il numero per controllar­e la settimana dopo dove ho sbagliato».

Dica la verità: si è rifatta le labbra?

«No, sono come quelle di mia nonna: con l’età il labbro inferiore ha ceduto. Una volta in aereo avevo un herpes labiale orrendo e una signora disse al marito: “Dio, ma come si è rovinata!”. La gente può essere molto cattiva...».

Cosa le rispose?

«Nulla. Mi bastò immaginare di dirle una cosa molto molto brutta...».

Ora però chiudiamo in bellezza. Che tipo di mamma pensa di essere stata?

«Brava». E si illumina, per davvero. @elvira_serra

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(Archivio fotografic­o Rita Pavone) Insieme Con Pelé e, sotto, con Teddy Reno
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