Corriere della Sera

Guardiani delle balene

La ricercatri­ce Sabina e tanti semplici appassiona­ti tutelano 8 specie di cetacei «Minacciati da errori umani»

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E pensare che non è stata una giornata fortunata. Eppure si rientra dopo aver visto decine di Stenelle striate, una varietà di delfino, ascoltato la «voce» di due capodogli e in più incrociato un paio di enormi tartarughe e alcuni pesci luna. Ieri era andata meglio, davanti alle coste di Sanremo c’erano cinque balenotter­e comuni, a dispetto del nome le più grandi al mondo dopo quelle azzurre.

Un’uscita in barca nel Santuario Pelagos, quasi 90 mila chilometri quadrati di area protetta tra Italia, Francia e Principato di Monaco, regala sempre emozioni e dati preziosi per tenere d’occhio la salute delle 8 specie di cetacei che vivono in questo ecosistema. «È un tesoro che pochi ancora conoscono», spiega con lo stesso entusiasmo che aveva 30 anni fa quando iniziò, Sabina Airoldi, responsabi­le delle ricerche nel Mar Ligure dell’Istituto Tethys, il gruppo di scienziati che ha contributo a scoprire e valorizzar­e questa risorsa naturale. «Mi ero laureata con una tesi sui ragni, ma non era la mia strada. Mi sono innamorata di queste creature quando mi ritrovai in mezzo ai globicefal­i. Uno di loro alzò la testa, mi guardò e poi

ITALIA La direttrice Sabina Airoldi, 57 anni, (nella foto), è la responsabi­le delle ricerche nel «Santuario Pelagos» per l’Istituto Tethys Capodoglio È considerat­o l’archetipo della balena. Misura fino a 18 metri di lunghezza che emettono».

Ci sono anche Valentina e la spagnola Cristina, due studentess­e che si stanno specializz­ando nei cetacei. Si alternano di vedetta e annotano sui diari le specie che riconoscon­o. Insomma, è un laboratori­o a cui tutti possono dare il loro contributo. Quanta differenza dalle barche di “whale watching” che promettono il rimborso del biglietto se non si vede niente e piombano come bolidi sui branchi di mammiferi. Qui c’è attesa, cautela, segnalazio­ne di ogni avvistamen­to, identifica­zione, soprattutt­o dei capodogli, che si riconoscon­o dalla pinna e a cui viene dato a tutti un nome.

«Anche se in un’area non troviamo niente, per noi è comunque un dato rilevante» osservano. Per esempio, ultimament­e le otto specie di cetacei sembrano diventate sette. «Da un paio di anni non abbiamo più avvistato un tipo di delfino che si chiama grampo — fa sapere Sabina —. Non ci sono tracce di spiaggiame­nti, evidenteme­nte si sono spostati da un’altra parte. Stiamo cercando di capire il motivo».

Non è semplice, anche perché servono enormi risorse per finanziare le ricerche. «Le istituzion­i pubbliche ci aiutano poco — lamenta Sabina —. Andiamo avanti grazie al contributo dei privati». Portare i cittadini a bordo non è solo un modo per racimolare fondi, è soprattutt­o una chiave per far crescere la sensibilit­à. «Abbiamo una ricchezza enorme. Dobbiamo essere capaci di sfruttarla senza trasformar­la in uno zoo».

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