Corriere della Sera

Salto di qualità con gli enigmi di Roman

- Di Paolo Mereghetti

Ci voleva Polanski, anche se fuori concorso, per rialzare il tono del festival. Certo, D’après une histoire vraie (Da una storia vera, da novembre in Italia) non ha la forza seduttiva del bellissimo Venere in pelliccia, ma rispetto ai troppi, inutili titoli del concorso si eleva di una buona spanna. La storia, che il regista e Olivier Assayas hanno tratto dal romanzo omonimo di Delphine de Vigan, racconta la crisi di una scrittrice (Emmanuelle Seigner), svuotata dal suo ultimo successo, e l’incontro con una sua appassiona­ta fan (Eva Green). Che però rischia di vampirizza­rle la vita. Non una nuova versione di Misery non deve morire, ma piuttosto un’ambigua riflession­e sul lavoro creativo, sulla fragilità delle immagini pubbliche (con più di una frecciata ai reality e ai social), sul contrasto fra realtà e finzione, tra scrittori e chi o cosa li ispira. Temi non nuovi nel cinema del regista polacco, che qui li elabora con la sua impeccabil­e profession­alità: tutto sembra perfetto, anche troppo, e infatti vorresti che la storia prendesse una strada inattesa (e non solo per il colpo di scena finale) e che l’ambiguità tipica dei suoi migliori film confondess­e di più le carte. Invece alla regista dell’ultimo film in concorso verrebbe da chiedere storie un po’ meno sospese, un po’ meno indizi lasciati senza risposta. Sono quelli che solleva il protagonis­ta di You Were Never Really Here (Non sei mai stato veramente qui) di Lynne Ramsay, ex soldato con più traumi che cicatrici (è Joaquin Phoenix, barbuto e appesantit­o). All’origine delle sue angosce i bambini che ha visto soffrire (a cominciare da se stesso) e che salva a suon di martellate: quando scopre che politica e servizi difendono quel mondo sordido e volgare, allora il suo fragile equilibrio esplode. Insieme alla violenza, naturalmen­te. Per ribadire il rimpianto per i film di ieri (tipo Fino all’ultimo respiro o Payback – La rivincita di Porter)e l’incapacità di rifarli oggi senza doversi rifugiare in troppe contorsion­i pseudopsic­oanalitich­e.

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