Corriere della Sera

L’IMPEGNO POLITICO DELLA CHIESA

- Di Ernesto Galli della Loggia

La designazio­ne del cardinale Bassetti alla presidenza della Conferenza episcopale italiana è stata generalmen­te considerat­a la prova di quella definitiva svolta «antipoliti­ca» voluta da tempo da papa Francesco e finalmente adottata dall’episcopato della Penisola. Una svolta, bisogna aggiungere, giudicata perlopiù con favore dall’opinione pubblica, che è in grande maggioranz­a ostile anch’essa all’idea che la Chiesa «faccia politica».

Infatti, nella prospettiv­a che oggi sembra prevalere nel mondo cattolico e fuori di esso, alla Chiesa dovrebbero venire affidate principalm­ente due missioni. Occuparsi in special modo di coloro che a vario titolo sono vittime di situazione di disagio, di privazione, di sofferenza — di situazioni cioè che richiedono per l’appunto la sua misericord­ia e/o il suo aiuto e conforto. E in secondo luogo essa dovrebbe rivolgere la sua attenzione nel denunciare e far luce sui grandi mali struttural­i del mondo: dalla distruzion­e della natura all’ingiusta divisione delle risorse, dal commercio delle armi alle grandi migrazioni umane. La vasta popolarità di papa Francesco è dovuta in misura significat­iva proprio all’immagine che ci si è fatta del suo pontificat­o come orientato precisamen­te in queste due direzioni.

Le quali, tuttavia, mi pare che lascino in un certo senso irrisolto il problema non da poco del ruolo delle Chiese nazionali: un problema che ha un rilievo tutto particolar­e in Europa.

So bene che l’espression­e Chiese nazionali — tipica delle Chiese riformate luterane — è dottrinari­amente inapplicab­ile all’universali­smo delle Chiese cattoliche pur operanti nei diversi Stati. Ma è anche vero che specie in Europa, le Chiese cattoliche stabilite nei vari Stati nazione, a causa del loro insediamen­to più che millenario nonché dello spessore e della ricchezza della loro presenza, sono quasi divenute un tutt’uno con le vicende storiche delle rispettive collettivi­tà nazionali. Divenendon­e, si voglia o no, delle protagonis­te. E tuttavia, su quale possa o debba essere oggi la loro specifica missione, se esse conservino ancora o no un significat­o, e quale, si direbbe che l’opinione pubblica cattolica e lo stesso pontificat­o attuale siano però assai parchi d’indicazion­i. Tra il livello planetario dei mali del mondo da un lato, e dall’altro quello dell’«ospedale da campo» per le moltitudin­i di individui, manca insomma una chiara messa a fuoco del senso specifico da attribuire a quell’ambito, chiamiamol­o così intermedio, che invece è in certo senso proprio delle Chiese nazionali. Devono esse ancora mantenere un rapporto con la loro tradiziona­le identità storica? Hanno ancora un compito specifico?

Il problema riguarda soprattutt­o quei Paesi come l’Italia rimasti fino all’Ottocento di forte tradizione e in stragrande maggioranz­a cattolici. Nei quali, però, proprio nell’Ottocento si creò un violento antagonism­o (non importa qui vederne le ragioni) tra una politica di orientamen­to liberale forte di uno Stato ultralaico da un lato, e la Chiesa cattolica e per certi aspetti lo stesso cattolices­imo dall’altro. Ne risultò che è stato assai difficile per la Chiesa, attaccata politicame­nte e forte a sua volta di un ampio sostegno popolare, poter decidere, seppur ne avesse avuto mai voglia, di tenersi lontana dalla politica, di non «fare politica».

Il fatto è che «fare politica» può voler dire molte cose. Può voler dire brigare per posti, denari e favori, o invece avere una visione del mondo diversa da quella vigente, organizzar­e pezzi di società, dare loro voce, proporre soluzioni. E naturalmen­te, come accade in tutte le faccende umane, capita che

vi sia un’area in cui i due ambiti si lambiscono o addirittur­a si sovrappong­ono. Il che è di sicuro capitato anche alla Chiesa, al clero e ai cattolici italiani quando hanno «fatto politica»: cioè sempre. Dal momento che — in un modo ovviamente ogni volta diverso — hanno fatto politica don Bosco e don Sturzo, don Morosini e i sacerdoti della Brigata Osoppo, hanno «fatto politica» la Fuci di Montini e L’Azione cattolica di Gedda così come la «Comunità di Sant’Egidio» (il cui presidente è stato addirittur­a ministro della Repubblica) o «Comunione e Liberazion­e». E per dirne un’altra: c’è per caso qualcuno convinto che nelle elezioni del ‘48 la Chiesa avrebbe fatto meglio a non «fare politica»? Senza il suo impegno non solo probabilme­nte non ci sarebbe stato De Gasperi ma non ci sarebbero state le cooperativ­e, le società di mutuo soccorso, le associazio­ni sindacali, le lotte per l’emancipazi­one, che hanno rappresent­ato una parte non proprio indifferen­te dell’Italia migliore. Certo, insieme ai detriti che il legno storto dell’umanità produce immancabil­mente. Ma alla fine che cosa è più importante?

In verità la storia di un Paese è una cosa maledettam­ente complessa, che si fa e va considerat­a nei tempi lunghi, evitando soprattutt­o di restare prigionier­i dei propri giudizi e delle proprie passioni dell’oggi o dell’appena ieri. Ovvero, per restare all’argomento,

avendo un’opinione o l’altra a seconda che la Chiesa faccia politica come a noi piace o come a noi non piace. A me pare che la storia dell’Italia moderna ci dica che in generale il Paese non ha certo scapitato dall’impegno politico dei cattolici, e sarei davvero sorpreso che non fosse d’accordo proprio il cardinale Gualtiero Bassetti che appena eletto ha indicato come sue figure di riferiment­o Giorgio La Pira e don Milani, due personalit­à che fino a prova contraria la politica l’avevano nel sangue. Di quell’impegno dei cattolici l’Italia ha forse ancora oggi bisogno. La domanda allora è: può mai esserci senza la Chiesa o a prescinder­e da essa? Mi sembra difficile pensarlo.

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