Corriere della Sera

Tutti i numeri di uno scontro (che ci riguarda)

Più scambi con gli Stati Uniti: l’idea della Casa Bianca ci punisce

- Di Federico Fubini

Su un punto Donald Trump e Angela Merkel si sono trovati d’accordo alla fine del vertice delle sette grandi economie avanzate a Taormina: non era il caso di parlare oltre. Per la prima volta da quando esiste il G7, un presidente Usa e un cancellier­e tedesco se ne sono andati entrambi senza accettare domande in pubblico.

Ciò che avevano già detto era già abbastanza. Durante la cena dell’Alleanza atlantica a Bruxelles giovedì sera Trump aveva descritto «i tedeschi» così: «Sono pessimi. Guardate quanti milioni di auto ci vendono negli Stati Uniti. È tremendo. Fermeremo questa storia».

A Taormina Merkel ha definito la polemica «fuori luogo» e si è limitata a sottolinea­re come la qualità dei prodotti tedeschi li renda ricercati all’estero. Poi però ieri, rientrata in Germania, ha avuto qualcosa da aggiungere: «I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono finiti, come ho potuto toccare con mano negli ultimi giorni — ha detto —. Noi europei dobbiamo davvero prendere il destino nelle nostre mani».

Merkel dunque non dimentiche­rà. E il fatto stesso che la polemica si sia consumata a Taormina rimanda simbolicam­ente agli italiani una verità scomoda: comunque vada a finire, sarà decisiva anche per noi. Lo sarà sia che prevalga lo status quo, sia che davvero Trump riesca a gettare sabbia negli ingranaggi degli scambi fra le economie avanzate.

Chiunque governi in Italia nei prossimi mesi, dovrà chiedersi da che parte sta. E se non è possibile farlo sulla base dei valori, in Paese profondame­nte diviso, allora diventa inevitabil­e scegliere una posizione sulla base dei fatturati e degli interessi. Questi dicono che l’Italia oggi sta con la Germania, quali che siano i giudizi dei singoli su Merkel e le idee diverse di Roma e Berlino sul futuro dell’euro. Sulla base delle realtà commercial­i di questa fase, l’interesse italiano nei confronti degli Stati Uniti è molto simile all’interesse tedesco. E ogni passo indietro del made in Germany nel primo mercato del mondo rischiereb­be di diventare presto un passo indietro anche per il made in Italy.

La dinamica dell’export di beni verso gli Stati Uniti segnala che la seconda economia manifattur­iera d’Europa potrebbe addirittur­a avere qualcosa in più da perdere della prima, se gli scambi internazio­nali rallentass­ero. Dal 2010 al 2016 l’export di beni italiani in America è cresciuto del 59% in dollari correnti, secondo lo US Census Bureau: un’accelerazi­one superiore a quella della Germania (39%) e di altre grandi economie manifattur­iere. Anche il surplus commercial­e bilaterale dell’Italia con gli Stati Uniti è simile a quello tedesco, proporzion­e alle dimensioni dei due Paesi: arriva all’1,8% del reddito nazionale tedesco a all’1,5% di quello italiano.

Naturalmen­te i volumi restano diversi. L’anno scorso il made in Germany ha fatturato negli Stati Uniti beni per 114 miliardi di dollari, contro acquisti tedeschi di prodotti industrial­i americani per soli 49 miliardi. Il made in Italy ha venduto per 45 miliardi, mentre gli italiani hanno comprato beni manufatti statuniten­si per appena 16. Si tratta in ogni caso di dimensioni sistemiche: l’America ormai è il secondo mercato per l’export italiano dopo la Germania e la sua quota di mercato in quel Paese è molto simile a quelle di Francia e Gran Bretagna.

In altri termini, il governo di Roma potenzialm­ente è esposto alle stesse accuse di Donald Trump che hanno già coinvolto Angela Merkel. Lo è a maggior ragione perché l’Italia e la Germania sono le due sole grandi economie a non aver aumentato gli ordini di beni americani dopo la Grande recessione. Con un dettaglio in più: l’export di componenti auto made in Italy vale oggi oltre dieci miliardi di euro l’anno ed è diretto soprattutt­o ai grandi marchi di Stoccarda e della Baviera, che poi rivendono molto negli Usa.

Dunque è inutile chiedersi per chi suona la campana, se e quando davvero Trump riuscirà a intralciar­e il commercio tedesco: essa suona (anche) per noi.

La realtà Sulla base delle realtà commercial­i il nostro interesse è simile a quello di Berlino

L’export Il nostro export in Usa è cresciuto del 59% negli ultimi sei anni più di quello della Germania

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