«Neanche Bush danneggiò così la solidarietà transatlantica»
«È preoccupante che, dopo la prima visita del presidente Trump in Europa, la più importante leader Ue parli di mancanza di fiducia tra i due lati dell’Atlantico e del bisogno dell’Unione Europea di prendere il futuro nelle proprie mani», dice al Corriere Charles Kupchan a proposito dei commenti di Angela Merkel dopo il G7 di Taormina. Kupchan, 58 anni, è da poco tornato al suo lavoro di analista al «Council on Foreign Relations», cui ha affiancato la cattedra di Affari internazionali alla Georgetown University di Washington. Dal 2014 al 2017 ha fatto parte del Consiglio per la sicurezza nazionale di Obama, come direttore degli Affari europei.
Alla vigilia del G7 lei notava che, rispetto alla campagna elettorale, Trump aveva «chiarito il suo appoggio per la Nato» e sembrava «allontanarsi dal protezionismo e da uno scontro con la Cina sulle questioni commerciali». Lei sperava pure che potesse recuperare le politiche di Obama su Libia e immigrazione. E ora?
«Molti di noi speravano che questo viaggio portasse rassicurazioni agli alleati, ma sembra che Trump abbia causato più danni che benefici nei suoi incontri. È possibile che Angela Merkel abbia visto confermato il suo timore che Trump intenda sul serio portare avanti la politica dell’America First e che l’economia americana per lui abbia la precedenza su ogni altra questione, inclusi i cambiamenti climatici. Trump ha lanciato un messaggio simile anche a Bruxelles: speravamo che il presidente riaffermasse l’articolo 5 del Trattato della Nato, ovvero l’impegno per la difesa comune, ma non lo ha fatto. La sua visita è stata molto al di sotto delle aspettative».
Dobbiamo imparare a vivere in un Occidente diviso?
«Trump rappresenta un tipo di politica e un elettorato molto diversi da quelli di Obama. Su questioni come i cambiamenti climatici, l’immigrazione e i rifugiati, il libero scambio, il multilateralismo e l’importanza di agire insieme — pilastri della politica estera americana abbracciati dagli europei — adesso c’è un presidente che va in una direzione assai diversa. Coloro che hanno a cuore il futuro della solidarietà transatlantica possono solo sperare che questa sia una deviazione temporanea e non il segno di una spaccatura duratura attraverso l’Atlantico. È importante ricordare che, quando George W. Bush era presidente, c’erano preoccupazioni simili, per via
della guerra in Iraq e della paura dell’unilateralismo americano. Poi è arrivato Obama e ha corretto la rotta. Adesso però la situazione è perfino peggiore, perché Trump, a differenza di Bush, rappresenta uno scostamento dalla politica tradizionale. Bush era comunque espressione di un unilateralismo repubblicano “classico”; Trump invece rappresenta un nuovo nazionalismo populista».
Il Russiagate influenzerà la sua politica estera?
«Penso che vedremo comportamenti molto imprevedibili: a volte apparirà isolazionista e farà troppo poco, e a volte si spingerà troppo oltre».