Corriere della Sera

Donald all’attacco: una war room (e cambi nello staff) Lo sfogo su Twitter: media bugiardi

- Giuseppe Sarcina

Donald Trump è pronto a barricarsi in una «war room»: una specie di consiglio di guerra permanente per fronteggia­re il «Russiagate». Tornato dal suo primo viaggio all’estero, ritrova l’assedio alla Casa Bianca: le inchieste dell’Fbi, del Congresso, le notizie dei giornali (come quella secondo cui avrebbe già deciso di uscire dall’accordo di Parigi). Lo staff del presidente ha deciso di rinforzare le difese: sarebbero già stati contattati importanti studi legali e di pubbliche relazioni per gestire la crisi, come in preparazio­ne di una lunga «guerra» appunto.

Sabato, poi, il New York Times ha scritto che Trump starebbe pensando di riprendere Corey Lewandowsk­i, lo spigoloso direttore della campagna elettorale nella prima fase: la più spregiudic­ata. D’altra parte quel pomeriggio figure esperte come il generale Herbert Raymond McMaster, consiglier­e per la sicurezza nazionale, e Gary Cohn, primo advisor per l’economia di Trump, hanno annaspato davanti ai giornalist­i al seguito della Casa Bianca. Il portavoce Sean Spicer si è defilato in un angolo, senza rispondere alle domande su Jared Kushner, genero e consiglier­e di Donald Trump.

L’Fbi sta indagando su almeno un incontro avvenuto nel dicembre scorso tra Kushner e Sergei Kislyak, ambasciato­re russo a Washington. In quella occasione i due K. avrebbero concordato di aprire «un canale di comunicazi­one diretto e riservato» tra la futura amministra­zione americana e il Cremlino. Ma proprio in quel periodo gli agenti del Federal bureau stavano già verificand­o la natura dei rapporti tra i collaborat­ori di Trump e alcuni funzionari di Mosca. Ieri il ministro della Sicurezza interna, John Kelly, ha commentato: «Per me è una cosa normale e accettabil­e avere strumenti di comunicazi­one di quel tipo, specie con organizzaz­ioni che non sono particolar­mente amichevoli con noi».

Il presidente degli Stati Uniti, intanto, ha subito ripreso le vecchie abitudini. Di prima mattina si è affacciato su Twitter e ha liquidato le indiscrezi­oni pubblicate nei giorni scorsi dal Washington Post sul marito di Ivanka, come «notizie false, fabbricate dai giornali». In sostanza, siamo a questo punto: gli investigat­ori sospettano il clan del leader di aver complottat­o con i russi per danneggiar­e Hillary Clinton. Trump, invece, accusa i media «liberal» di aver imbastito una congiura per fermare la sua «rivoluzion­e». Esagerazio­ni? Basta leggere una delle mail, firmate «Donald Trump», inviate alle migliaia di cittadini americani che si erano registrati nel 2016 per seguire i comizi dell’outsider repubblica­no.

Venerdì 26 maggio il comitato elettorale del presidente, mai smantellat­o, diffondeva questo messaggio: «I “Fake News Media” sono la vera opposizion­e. Dobbiamo fare in modo che rispondano delle loro falsità. È una battaglia che non possiamo perdere. Il futuro dell’America è in bilico». Ieri, 28 maggio, un’altra comunicazi­one: «In questo mese i media hanno cercato di fermarci; l’establishm­ent ha cercato di fermarci; perfino la burocrazia ha cercato di sabotarci dall’interno».

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(Lapresse) Il ritorno L’arrivo dei Trump alla Casa Bianca

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