Donald all’attacco: una war room (e cambi nello staff) Lo sfogo su Twitter: media bugiardi
Donald Trump è pronto a barricarsi in una «war room»: una specie di consiglio di guerra permanente per fronteggiare il «Russiagate». Tornato dal suo primo viaggio all’estero, ritrova l’assedio alla Casa Bianca: le inchieste dell’Fbi, del Congresso, le notizie dei giornali (come quella secondo cui avrebbe già deciso di uscire dall’accordo di Parigi). Lo staff del presidente ha deciso di rinforzare le difese: sarebbero già stati contattati importanti studi legali e di pubbliche relazioni per gestire la crisi, come in preparazione di una lunga «guerra» appunto.
Sabato, poi, il New York Times ha scritto che Trump starebbe pensando di riprendere Corey Lewandowski, lo spigoloso direttore della campagna elettorale nella prima fase: la più spregiudicata. D’altra parte quel pomeriggio figure esperte come il generale Herbert Raymond McMaster, consigliere per la sicurezza nazionale, e Gary Cohn, primo advisor per l’economia di Trump, hanno annaspato davanti ai giornalisti al seguito della Casa Bianca. Il portavoce Sean Spicer si è defilato in un angolo, senza rispondere alle domande su Jared Kushner, genero e consigliere di Donald Trump.
L’Fbi sta indagando su almeno un incontro avvenuto nel dicembre scorso tra Kushner e Sergei Kislyak, ambasciatore russo a Washington. In quella occasione i due K. avrebbero concordato di aprire «un canale di comunicazione diretto e riservato» tra la futura amministrazione americana e il Cremlino. Ma proprio in quel periodo gli agenti del Federal bureau stavano già verificando la natura dei rapporti tra i collaboratori di Trump e alcuni funzionari di Mosca. Ieri il ministro della Sicurezza interna, John Kelly, ha commentato: «Per me è una cosa normale e accettabile avere strumenti di comunicazione di quel tipo, specie con organizzazioni che non sono particolarmente amichevoli con noi».
Il presidente degli Stati Uniti, intanto, ha subito ripreso le vecchie abitudini. Di prima mattina si è affacciato su Twitter e ha liquidato le indiscrezioni pubblicate nei giorni scorsi dal Washington Post sul marito di Ivanka, come «notizie false, fabbricate dai giornali». In sostanza, siamo a questo punto: gli investigatori sospettano il clan del leader di aver complottato con i russi per danneggiare Hillary Clinton. Trump, invece, accusa i media «liberal» di aver imbastito una congiura per fermare la sua «rivoluzione». Esagerazioni? Basta leggere una delle mail, firmate «Donald Trump», inviate alle migliaia di cittadini americani che si erano registrati nel 2016 per seguire i comizi dell’outsider repubblicano.
Venerdì 26 maggio il comitato elettorale del presidente, mai smantellato, diffondeva questo messaggio: «I “Fake News Media” sono la vera opposizione. Dobbiamo fare in modo che rispondano delle loro falsità. È una battaglia che non possiamo perdere. Il futuro dell’America è in bilico». Ieri, 28 maggio, un’altra comunicazione: «In questo mese i media hanno cercato di fermarci; l’establishment ha cercato di fermarci; perfino la burocrazia ha cercato di sabotarci dall’interno».