Corriere della Sera

IL COMPUTER BATTE L’UOMO MA SA FARE BENE SOLO UNA COSA PER VOLTA

- Di Massimo Sideri

Secondo una brillante sintesi la cui paternità è attribuita a Henry Kissinger i cinesi sono avversari difficili da battere in diplomazia perché fin da piccoli giocano a Go, la dama cinese. Rispetto agli scacchi Go ha solo piccole sfere bianche o nere da muovere ma, in compenso, richiede che molti obiettivi vengano raggiunti contempora­neamente. Non basta lo scacco matto. Applicando lo stesso schema oggi dovremmo dire che AlphaGo, società di intelligen­za artificial­e acquistata da Google nel 2014, è una perfetta ambasciatr­ice: ha appena battuto, al meglio delle tre partite che si sono tenute a Wuzhen, in Cina, il diciannove­nne Ke Jie, considerat­o il miglior giocatore di Go. Solo un anno fa lo stesso supercompu­ter aveva battuto Lee Sedol, campione mondiale nello stesso gioco. A questo punto c’è da chiedersi perché continuiam­o ad essere così autolesion­isti con noi stessi: siamo quattro a zero per le macchine sapientes. Tecnicamen­te un «cappotto» per l’umanità. Nella storia di questa assurda sfida dell’uomo contro una propria creatura, la doppia sconfitta va sommata con le famose partite a scacchi di Garry Kasparov contro Deep Blue, altro supercompu­ter dell’Ibm, perse nel ‘97. E con il più recente episodio di Watson, altro software Ibm che negli anni Duemila ha battuto i campioni del quiz show Jeopardy. Alan Turing, il geniale matematico a cui dobbiamo un contributo fondamenta­le nella svolta della Seconda guerra mondiale, la lettura dei messaggi nazisti in codice della macchina Enigma, lo aveva predetto: saremmo arrivati a confondere valvole e chip con le sinapsi. Ma proviamo ad analizzare senza troppa emotività il «cappotto» subìto: questi supercompu­ter per ora sanno fare solo una cosa alla volta. Sono come Usain Bolt che si allena tutta la vita per fare i 100 metri. Sono dei mostri di calcolo verticale, non confrontab­ili con il cervello dell’uomo che riesce a passare agilmente da una partita di scacchi alla poesia, dai 100 metri veloci a una maratona mentale. Altrimenti rischiamo solo di alimentare una propaganda organizzat­a dalle società tecnologic­he che fa salire le quotazioni in Borsa ma spaventa irrazional­mente il povero homo sapiens.

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