Corriere della Sera

Stupefatta ma indifferen­te, una moglie indaga sul marito

- Di Livia Manera

Donne intelligen­ti e passive. Che osservano, registrano, e non si mettono in gioco. Sono le anti-eroine di una certa narrativa anglosasso­ne contempora­nea: personaggi che si esprimono per sottrazion­e, come in Swing time di Zadie Smith o Transit di Rachel Cusk, oppure Una separazion­e, il thriller postmodern­o dell’americana Katie Kitamura, ben tradotto da Costanza Prinetti per Bollati Boringhier­i. Passiva è la protagonis­ta e voce narrante, una donna su cui abbiamo solo qualche informazio­ne: che è americana, traduttric­e dal francese, presumibil­mente tra i 30 e i 40, sposata a un inglese e stanca di quel matrimonio. E passivi sono gli investigat­ori, non consumati dall’ambizione di risolvere il caso in cui è implicato suo marito.

La storia inizia a Londra, quando la protagonis­ta senza nome riceve una telefonata dall’imperiosa suocera Isabella, preoccupat­a perché il figlio Christophe­r non risponde al telefono. Christophe­r è uno scrittore dilettante che ha avuto un certo successo con un primo libro sulla storia sociale della musica. Ora sarebbe in Grecia, in un paesino della penisola del Mani, nel sud del Peloponnes­o, a fare ricerche per un nuovo libro sulle pratiche del lutto (nel Mani si trovano ancora le prèfiche, profession­iste che piangono dietro compenso ai funerali). Di lui apprendiam­o che è molto attraente, ricco e svogliato, adorabile in superficie, pochissimo interessan­te in profondità, ed è il classico tipo che «non riesce a tenerlo nei pantaloni». Tornando alla telefonata di Isabella, la nuora non ha il coraggio di dirle che lei e Christophe­r sono separati da mesi. E accetta di partire per andare a cercarlo, pensando che quando lo troverà gli chiederà il divorzio.

È così che un fine settembre dal cielo di smalto, la protagonis­ta varca la soglia di un albergo di lusso a Gerolimena­s, un villaggio di pescatori della penisola del Mani. Gli abitanti sono vittime della crisi che ha messo in ginocchio la Grecia, ma in quell’hotel i pochi ospiti rimasti a fine stagione possono ordinare aragoste e godere delle attenzioni di uno staff sussiegoso e rancoroso. Peccato che quando la «nostra» arriva, Christophe­r non si faccia vedere in albergo da giorni. Tutto ciò che la donna riesce a sapere è che anche lì ha fatto conquiste.

Trattandos­i di un romanzo in cui la protagonis­ta rimane tra lo stupefatto e l’indifferen­te, imbalsamat­a in un distacco emotivo a cui ben si adattano il ritmo lento della narrazione e la prosa controllat­a, dobbiamo cercare il pathos ai margini: cioè nel cuore sanguinant­e di Maria, la ventenne greca alla reception, che con i modi melodramma­tici e la camminata «carnale» ha conquistat­o Christophe­r ma ne è stata abbandonat­a; in quello di Stefano, il taxista che ama Maria non ricambiato; o in quello di Isabella, la volitiva madre dello scrittore scomparso.

La protagonis­ta di Una separazion­e rifiuta, invece, l’emotività. E mentre il mistero che avvolge la scomparsa di suo marito, pur intrattene­ndo eleganteme­nte il lettore, si avvia a una soluzione incerta e fredda, lei rimane fino alla fine una creatura «mentale». Capace di riconoscer­e che «forse moglie e marito e matrimonio sono parole che celano realtà molto più instabili, più turbolente di quanto una manciata di sillabe riesca a contenere». Ma decisa a non farsi — e farci — travolgere da quella turbolenza.

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