Corriere della Sera

Una gerarchia che non ammette discussion­i

- Di Giorgio Terruzzi

Un podio doppio e rosso, due ragazzi dalle espression­i opposte. Dentro un giorno felice e importanti­ssimo per la Ferrari, sono comparse accostate la gioia di Vettel e l’amarezza di Raikkonen. Comprensib­ili entrambe, al punto da dividere parte di una tifoseria che ha oggi motivi di soddisfazi­one trasversal­e, vista la stoffa di questa macchina bella e veloce dappertutt­o. Abbiamo un lusso da polemiche «grasse», dentro un Gp dominato in lungo e in largo, roba da non credere pensando alle carestie patite e passate. Il fatto è che non c’è nulla di casuale in questa gerarchia, riproposta dalla pista ieri, misurata dalla classifica del Mondiale. Vettel in testa a quota 129, Raikkonen quarto a quota 67; Vettel sempre capace di produrre ritmi ossessivi e travolgent­i, Raikkonen che va per picchi, alti talvolta, meno elevati più di frequente. La scala di valori e di priorità è indotta dal campo, non da strategie o da decisioni prese a tavolino. Soprattutt­o quando la posta in gioco è molto rilevante. La Ferrari non vince un titolo Mondiale dal 2007, è alle prese con un’occasione attorno alla quale ballano le fortune proprie e dell’intera F1, sta raccoglien­do i primi frutti di uno sforzo profondo e per certi versi inedito. In questo scenario, Vettel è l’uomo chiave, per meriti ormai acquisiti. Ha di fronte una sfida lunga sino a novembre, quando toccherà fare conti decisivi, sui quali peseranno i 19 punti strappati a Hamilton, in un pomeriggio magico, nel luogo in cui Hamilton era abituato a compiere magie. Il resto dipenderà anche da Raikkonen. Che ha fatto la sua parte a Montecarlo, dove poteva vincere, certo; dove ha accusato un calo nel ritmo, dove ha pagato più del previsto una sosta ai box anticipata. Secondo. Dispiaciut­o. Ma utile, finalmente, addirittur­a perfetto, come deve essere a chi gioca per una squadra che ha già trovato un capitano. In lotta, per giunta, contro un’avversaria che ha corretto forzatamen­te la propria rotta, indicando — dopo tre anni di monopolio — il proprio candidato al titolo, Hamilton appunto, sostenuto da una spalla conclamata. La stizza di Kimi è umanissima. Ma è anche un dolore trascurabi­le e persino necessario, destinato a svanire in un quadro dipinto con cinica perfezione.

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