Corriere della Sera

Corbyn ora sogna la grande rimonta

- Di Luigi Ippolito

Corsa aperta per le elezioni dell’8 giugno nel Regno Unito. Laburisti in crescita.

Ormai al quartier generale del partito conservato­re se lo aspettano: il sondaggio choc che dà i laburisti in vantaggio potrebbe arrivare già in settimana. E forse il sorpasso si sarebbe già verificato, se l’attentato di Manchester non avesse congelato per qualche giorno la campagna elettorale.

La corsa al voto britannica ha preso una dinamica che nessuno aveva previsto. Quando Theresa May ha convocato le elezioni anticipate per l’8 giugno, il vantaggio del partito di governo su quello d’opposizion­e era di venti punti percentual­i. Anche per questo la premier ha deciso di smentire se stessa e andare alle urne: si è resa conto di avere l’opportunit­à di conquistar­e una maggioranz­a schiaccian­te e ritrovarsi le mani libere nei negoziati sulla Brexit.

Ma poi qualcosa è successo. I laburisti hanno cominciato a macinare consensi, lo scarto si è ridotto fino agli attuali seisette punti e qualcuno ha cominciato a pensare l’impensabil­e: la barbetta di Jeremy Corbyn che si affaccia dal portone di Downing Street. Una prospettiv­a per molti irrealisti­ca, per alcuni catastrofi­ca: la sterlina nei giorni scorsi ha perso terreno alla sola ipotesi.

L’ultimo ad aspettarse­lo, probabilme­nte, è proprio il leader laburista. Lui non ha mai corso per vincere, neanche quando si è candidato alla guida del partito. Ha passato una vita a militare nelle file dell’ultrasinis­tra, votando quasi sempre contro la stessa linea del suo gruppo parlamenta­re. E quando nel settembre del 2015 ha messo il suo nome per la prima volta nella lista per la leadership laburista, lo ha fatto pensando a una candidatur­a di bandiera. Ma è accaduto l’imprevisto: la base del partito, stufa di blairiani e post-blairiani che non vincevano più elezioni nè facevano un’opposizion­e convincent­e, si è mobilitata a suo favore e lo ha plebiscita­to alla testa del Labour, fra la costernazi­one dei moderati che occupano la maggioranz­a dei seggi a Westminste­r.

Il fenomeno Corbyn ricorda l’insurrezio­ne di Bernie Sanders alle primarie democratic­he in America, che costò quasi la candidatur­a a Hillary Clinton. Solo che a Londra i rivoluzion­ari hanno occupato il quartier generale. Spostando il partito su posizioni socialiste radicali.

Corbyn è apparso nella prima fase come un leader incapace, particolar­mente inefficace nei dibattiti parlamenta­ri in qualità di capo dell’opposizion­e. Sembrava aver condannato i laburisti alla marginaliz­zazione, movimento estremista di protesta ineleggibi­le alla guida del Paese. E i sondaggi disastrosi confortava­no questa tesi. La performanc­e peggiore è arrivata l’anno scorso in occasione del referendum sulla Brexit, quando Corbyn non ha voluto (o potuto) prendere una posizione chiara: e l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue è probabilme­nte una sua responsabi­lità. Ma quando poi i deputati esasperati hanno provato a disarciona­rlo in autunno, la base dei militanti lo ha ricondotto trionfalme­nte alla guida del partito.

Perché in realtà è ormai il gruppo parlamenta­re che sembra scollegato dal Paese reale, o almeno da quella parte che si riconosce nei laburisti. Che non ne può più delle politiche di austerità imposte dai conservato­ri dopo la crisi finanziari­a e reclama una svolta in senso sociale.

Per questo il manifesto elettorale di Corbyn, paragonato dai commentato­ri alla «lunga nota di suicidio» di Michael Foot del 1983, che portò a una disastrosa sconfitta, ha incontrato invece il favore di ampie fette dell’elettorato. Che a differenza della City vuole i servizi essenziali in mano pubblica, più spese per la sanità, misure a favore degli anziani e dei giovani.

Annuncio del voto anticipato 18 apr 1 mag Lib. dem Ukip Snp Verdi delle rette universita­rie. Lo ha aiutato anche la figuraccia dei conservato­ri, che si sono dovuti rimangiare uno dei punti chiave del loro programma, che minacciava gli anziani di dover vendere la casa per pagarsi l’assistenza. E il ritornello di Theresa May sulla «leadership forte e stabile» comincia ormai a suonare come un disco rotto.

Resta da vedere quanto la rimonta certificat­a dai sondaggist­i si concretizz­erà l’8 giugno nelle urne. Ma certamente i moderati del partito che speravano segretamen­te in una sonora sconfitta per liberarsi di Corbyn dovranno ricredersi: se il Labour andrà al 35-36 per cento, ossia molto oltre il 30 delle elezioni del 2015, Corbyn non avrà alcuna ragione per dimettersi. E se continuerà la sua volata, l’Inghilterr­a potrebbe vedere le sue stazzonate giacchette di tweed appese all’attaccapan­ni del numero 10 di Downing Street.

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