Ma Berlusconi vuol modificare il patto: lo sbarramento alto non mi conviene Ha perorato con Renzi la causa di Ap: meglio il 3%, sennò troppi seggi a grillini e democratici
Non è per filantropia se ieri Berlusconi ha perorato con Renzi la causa di Alfano, se attraverso Gianni Letta sta tentando di modificare un punto del patto sulla legge elettorale sottoscritto con il leader del Pd, proponendo di abbassare al 3% la soglia di sbarramento. Il fatto è che il Cavaliere ha interesse a correggere quella norma, perché così com’è non gli conviene. Anzi finisce per danneggiarlo, offrendo in prospettiva un surplus di seggi a democratici e grillini. Sono i numeri a testimoniarlo. In base agli attuali sondaggi, con lo sbarramento al 5%, entrerebbero di sicuro in Parlamento Pd, M5S, FI e Lega, con FdI in bilico.
I voti dei partiti che resterebbero esclusi vengono ad oggi calcolati intorno al 10%: varrebbero circa una sessantina di posti solo a Montecitorio, che andrebbero distribuiti tra quanti hanno superato il taglio. Però il «tedesco», per come è congegnato, privilegerebbe le forze più grandi: Renzi e Grillo si dividerebbero la quota maggiore del bottino, mentre a Berlusconi (oltre che a Salvini) resterebbero le briciole. Ottenere qualche seggio in più ma ritrovarsi poi schiacciato tra le due superpotenze in Parlamento, non è un buon affare. Con le conseguenze politiche che comporterebbe.
Pertanto, che il Cavaliere sia venuto incontro alle esigenze dei centristi è un fatto incidentale, sebbene abbia ripreso i contatti con Alfano: è nel suo interesse se ha mosso un passo verso Renzi, perciò proverà a insistere, anche se il capo del Pd non è intenzionato a cedere. Specie ora che può contare sulla sponda di Grillo, con il quale ha un comune obiettivo: spartirsi quanto più possibile il prossimo Parlamento come fosse Yalta. Tra i Cinquestelle c'è l’euforia di chi non pensava che gli avrebbero offerto un modello di voto disegnato su misura, tanto che all’incontro con la delegazione del Pd i grillini hanno desistito dalla richiesta del premio di maggioranza alla lista. «Va bene così», commentava soddisfatto Di Maio ieri sera.
Forte di questo clima da unità nazionale sulla legge elettorale, Renzi punta al voto entro la prima metà di ottobre: può pensare di arrivarci attraverso l’approvazione della riforma oppure con una crisi di governo da scaricare sui centristi. L’incontro di ieri con Alfano serviva a questo, a provocare il ministro degli Esteri per indurlo al fallo di reazione. Non è dato sapere se il leader di Ap gli abbia ricordato qual era il patto quando stavano insieme a Palazzo Chigi, è certo che Renzi ha opposto un diniego alla riduzione della soglia di sbarramento: «Non posso, salterebbe l’accordo. Eppoi il primo a insistere sul 5% è Berlusconi»...
La verità in politica non esiste, men che meno in questa mano di poker decisiva per gli assetti futuri, con il leader del Pd che ha chiamato «piatto». Figurarsi quindi se poteva cedere alle richieste dei centristi, con i quali peraltro i rapporti si erano incrinati da tempo, da quando — attaccata la spina al governo Gentiloni — confidava fosse Alfano a staccarla immediatamente, così da andare al
No alla riduzione Il leader pd avrebbe opposto un diniego alla riduzione della soglia: «Salterebbe l’accordo» I centristi e il governo Ma il ministro degli Esteri non sembra intenzionato a fare cadere il governo
voto in giugno. Ma il fatto che Ap venga lasciata al proprio destino — con una soglia di sbarramento che mette ad altissimo rischio il suo progetto — non è detto che ponga a rischio anche il governo. Terminato l’incontro con Renzi, il ministro degli Esteri ha spiegato la distanza che lo separa dal Pd sulla legge elettorale «e sulla durata della legislatura», come a far intuire che toccherebbe ad altri staccare la spina a Gentiloni.
In questa feroce disputa, restano nodi politici e istituzionali da sciogliere, e al fondo si avverte ancora una qual incertezza sul timing, se non sulla riuscita dell’operazione. Se Renzi non è ancora certo di arrivare alle urne per ottobre, Berlusconi non è più tanto certo di aver ottenuto la riforma che voleva. Solo Grillo (e Salvini) hanno garantito benefici, comunque vada la partita sulla legge elettorale. E anche dopo, visto che i sondaggi non danno oggi alcuna sicurezza sui numeri per un governo di larghe intese.