Corriere della Sera

Un’idea generosa ma remota

- Info@giuseppeca­ppello.it valguarner­a@hotmail.com Michele Massa,

Caro Aldo, non sappiamo ancora quale sarà la legge elettorale su cui i partiti riuscirann­o a trovare un’intesa. Ma per un segno di svolta rispetto al tatticismo di cui sembra essersi ammalata la politica, sarebbe di grande risollevam­ento delle sorti del Pd se il suo segretario cominciass­e a prendere in consideraz­ione un’idea: quella di una sorta di rinascita ulivista con la preparazio­ne della candidatur­a, come fu per Prodi, di Giuliano Pisapia alla presidenza del Consiglio. In questa prospettiv­a, immagino un Pd che potrebbe addirittur­a riavvicina­re la soglia del 40%, ma soprattutt­o il suo popolo originario, senza perdere quello che Renzi è stato capace di attrarre alle ultime elezioni europee. Così cadrebbe l’immagine che il Pd ora soffre, soprattutt­o rispetto ai Cinque Stelle, del tatticismo elettorali­stico e si riaffaccer­ebbe l’idea della forza di Renzi e la capacità di mediazione e di federazion­e (al netto di ombre inciuciste) di Pisapia (mediatore innanzitut­to sociale prima che politico); un’idea, che potrebbe calibrare nel segno della sintesi una prospettiv­a politica liberalsoc­ialista.

Giuseppe Cappello

Caro Giuseppe, per quel che so dell’animo umano in generale e di quello di Renzi in particolar­e, l’idea che il leader di un partito del 30% lavori per il leader di un partito del 3 mi pare generosa ma remota.

SICILIA

«Sogno che le cose possano cambiare» Mi ha fatto male leggere la lettera «La vergogna e l’orgoglio. I due volti della Sicilia», perché fotografan­o innegabili realtà. Sono andato via da Catania nel ‘60 senza farvi più ritorno, ma mi tengo informato su quanto accade nella mia terra d’origine. Talvolta mi abbandono a nostalgici Amarcord che si trasforman­o in amarezza nel leggere quanto riportato nelle parole del lettore e di Aldo Cazzullo che confermano la bellezza dell’isola ma pure che non è cambiato molto, e danno una ragione alla mia paura di tornare. Talvolta sogno che le cose possano cambiare.

Adolfo Valguarner­a Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

lettere@corriere.it lettereald­ocazzullo @corriere.it

Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

il 29 maggio di cent’anni fa nacque uno dei presidenti americani più amati: John F. Kennedy. Come sarebbe andata la guerra in Vietnam se ci fosse stato lui al posto di Johnson?

Caro Michele,

NBologna

on lo so, e la scena internazio­nale è talmente mutata che sarebbe poco serio inoltrarsi nelle ipotesi. Semmai c’è una altro tassello del Grande Gioco globale dei tempi di Kennedy che è tornato d’attualità. Riguarda i rapporti tra l’America e l’Europa. Oggi la linea di frattura è quella tracciata da Donald Trump. Nei primi anni Sessanta fu invece segnata da Charles de Gaulle.

Il Generale era convinto che gli assetti usciti dalla Seconda guerra mondiale non sarebbero durati a lungo. Pensava che l’Unione Sovietica – ma de Gaulle la chiamava Russia – non sarebbe riuscita a tenere per sempre mezza Europa sotto il suo tallone; e non ebbe torto, anche se non visse abbastanza per vedere realizzata la sua profezia. E credeva che gli Stati Uniti col tempo avrebbero rinunciato a difendere l’Europa, com’era già accaduto dopo la Grande Guerra (e come ha annunciato Trump, almeno in campagna elettorale). Propose quindi ad Adenauer un trattato franco-tedesco che dal suo punto di vista avrebbe ricostruit­o l’impero di Carlo Magno, in cui la forza economica trainante sarebbe stata quella tedesca, ma la guida politica – e la forza nucleare – sarebbe stata francese. Il Cancellier­e accettò. La risposta di Kennedy fu lo storico viaggio a Berlino Ovest: «Ich bin ein Berliner», sono un berlinese, gridò di fronte al Muro e al borgomastr­o Brandt. Il Parlamento della Germania federale attenuò la portata dell’accordo con la Francia. De Gaulle commentò: «I trattati sono come le giovani donne e le rose; durano finché durano». Poi ritirò le navi francesi nell’Atlantico dal comando Nato, e rifiutò di firmare il trattato di Mosca per la messa al bando dei test nucleari. Dopo un incontro con il ministro degli Esteri di Parigi, Kennedy annotò: «Abbiamo dovuto riconoscer­e di non essere d’accordo su nulla».

Poi tutto precipitò. Nell’agosto 1963 Adenauer lasciò il posto a Erhard, decisament­e filoameric­ano. E dopo l’assassinio di Kennedy, de Gaulle si trovò davanti non un cattolico di origine irlandese, ma un texano il cui volto gli ricordava Braccio di Ferro. Resta da capire come finirà stavolta. Non so a lei caro Michele; a me non dispiace la Merkel quando dice che l’Europa deve farcela da sé. Ma dubito che abbia la generosità e la visione per tradurre un buon proposito in buona politica.

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