Corriere della Sera

Attenti a non alimentare lo «scontro delle civiltà»

- di Caterina Resta

Scrivo dopo aver letto i due interessan­ti interventi sul «Corriere» a firma congiunta di Roberto Esposito e di Ernesto Galli della Loggia sull’Europa. C’è però un aspetto dei loro articoli che mi lascia molto perplessa, quello dell’insistenza sulle radici ebraico-cristiane, greche e illuminist­iche, senza menzionare anche la radice islamica. È vero, le radici dell’Europa sono molte e volerle elencare tutte è forse addirittur­a impossibil­e, ma quella islamica non è una tra le tante, è assolutame­nte fondamenta­le, soprattutt­o per chi voglia pensare, com’è nelle loro intenzioni, anche ad un’Europa mediterran­ea. Un’Europa senza Islam sempliceme­nte non esiste, se non al prezzo della cancellazi­one del passato e di laceranti esclusioni, presenti (è il caso di tutti gli islamici già residenti in Europa, e non solo per effetto dell’immigrazio­ne, come nell’area dei Balcani) e future (è il caso di una Turchia post-Erdogan). Come pensare l’Europa senza una delle sue più importanti capitali: Bisanzio, Costantino­poli, Istanbul?

Poiché è chiaro che non si tratta di una semplice dimentican­za, tacere di questa tenace radice può assumere, soprattutt­o in questo momento storico di così grande conflittua­lità con una parte del mondo arabo e islamico, il tono di uno «scontro di civiltà» che, al contrario, solo dall’Europa può essere evitato, poiché l’Islam è parte costitutiv­a della sua civiltà. L’Europa potrà avere un futuro solo se saprà, ancora una volta, com’è accaduto nel passato, trovare con esso forme condivise di convivenza, solo se saprà discernere, all’interno di questo magma incandesce­nte, quell’Islam che le appartiene e con il quale, per lunghi periodi della sua storia, ha saputo intrecciar­e un dialogo profondo e fecondo, da quell’altro, che è necessario combattere e rifiutare.

Solo così l’Europa potrà capire chi è, qual è stato e quale dovrebbe ancora essere, anche in futuro, il suo compito di mediazione, di terra di mezzo, di crocevia (e anche di «croce») tra Oriente ed (estremo) Occidente, tra le terre del Nord e il mare nostrum, il Mediterran­eo. Senza un ennesimo sforzo di tra-duzione con l’Islam (e sarà estremamen­te arduo, ne sono consapevol­e, in questo momento storico) non vi può essere Europa, sparirebbe la storia dell’intero Mediterran­eo, quella, ad esempio, della mia isola, la Sicilia. Non saprei più chi sono. O l’Europa riconosce anche questa sua radice, o, a causa di questa amnesia, perderà la stessa possibilit­à di riconoscer­e quello che è sempre stato il suo tratto specifico: un’identità plurale, che obbliga ad un’incessante traduzione. Ne era assolutame­nte consapevol­e Dante che, nella Divina Commedia, nomina Avicenna e rende omaggio ad Averroè per il «gran comento» ad Aristotele.

Nel richiamo all’ebraico-cristiano risuona inoltre l’elemento religioso: tacere dell’Islam sarebbe come dimenticar­e che le religioni del Libro sono tre, non due, tutte e tre discendent­i dalla filiazione di Abramo. Sarebbe come ripudiare Ismaele e la sua discendenz­a, che nella Bibbia viene «benedetta», a tutto vantaggio della sola discendenz­a «legittima», quella di Isacco.

Ma sono cose che i due autori sanno benissimo. Dunque, non menzionarl­e assume il carattere di una scelta politica intenziona­le che trovo particolar­mente arrischiat­a. Il pericolo, lo ripeto, è lo «scontro di civiltà», esattament­e quello che persegue il fondamenta­lismo islamico, che vorrebbe costringer­ci a nuove crociate, a nuove cacciate di moriscos, che accompagna­rono — non dimentichi­amolo — quelle dei marranos, preludio, all’inizio dell’Età moderna, di quanto, nel cuore dell’Europa, alcuni secoli dopo, porterà ad Auschwitz.

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