Attenti a non alimentare lo «scontro delle civiltà»
Scrivo dopo aver letto i due interessanti interventi sul «Corriere» a firma congiunta di Roberto Esposito e di Ernesto Galli della Loggia sull’Europa. C’è però un aspetto dei loro articoli che mi lascia molto perplessa, quello dell’insistenza sulle radici ebraico-cristiane, greche e illuministiche, senza menzionare anche la radice islamica. È vero, le radici dell’Europa sono molte e volerle elencare tutte è forse addirittura impossibile, ma quella islamica non è una tra le tante, è assolutamente fondamentale, soprattutto per chi voglia pensare, com’è nelle loro intenzioni, anche ad un’Europa mediterranea. Un’Europa senza Islam semplicemente non esiste, se non al prezzo della cancellazione del passato e di laceranti esclusioni, presenti (è il caso di tutti gli islamici già residenti in Europa, e non solo per effetto dell’immigrazione, come nell’area dei Balcani) e future (è il caso di una Turchia post-Erdogan). Come pensare l’Europa senza una delle sue più importanti capitali: Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul?
Poiché è chiaro che non si tratta di una semplice dimenticanza, tacere di questa tenace radice può assumere, soprattutto in questo momento storico di così grande conflittualità con una parte del mondo arabo e islamico, il tono di uno «scontro di civiltà» che, al contrario, solo dall’Europa può essere evitato, poiché l’Islam è parte costitutiva della sua civiltà. L’Europa potrà avere un futuro solo se saprà, ancora una volta, com’è accaduto nel passato, trovare con esso forme condivise di convivenza, solo se saprà discernere, all’interno di questo magma incandescente, quell’Islam che le appartiene e con il quale, per lunghi periodi della sua storia, ha saputo intrecciare un dialogo profondo e fecondo, da quell’altro, che è necessario combattere e rifiutare.
Solo così l’Europa potrà capire chi è, qual è stato e quale dovrebbe ancora essere, anche in futuro, il suo compito di mediazione, di terra di mezzo, di crocevia (e anche di «croce») tra Oriente ed (estremo) Occidente, tra le terre del Nord e il mare nostrum, il Mediterraneo. Senza un ennesimo sforzo di tra-duzione con l’Islam (e sarà estremamente arduo, ne sono consapevole, in questo momento storico) non vi può essere Europa, sparirebbe la storia dell’intero Mediterraneo, quella, ad esempio, della mia isola, la Sicilia. Non saprei più chi sono. O l’Europa riconosce anche questa sua radice, o, a causa di questa amnesia, perderà la stessa possibilità di riconoscere quello che è sempre stato il suo tratto specifico: un’identità plurale, che obbliga ad un’incessante traduzione. Ne era assolutamente consapevole Dante che, nella Divina Commedia, nomina Avicenna e rende omaggio ad Averroè per il «gran comento» ad Aristotele.
Nel richiamo all’ebraico-cristiano risuona inoltre l’elemento religioso: tacere dell’Islam sarebbe come dimenticare che le religioni del Libro sono tre, non due, tutte e tre discendenti dalla filiazione di Abramo. Sarebbe come ripudiare Ismaele e la sua discendenza, che nella Bibbia viene «benedetta», a tutto vantaggio della sola discendenza «legittima», quella di Isacco.
Ma sono cose che i due autori sanno benissimo. Dunque, non menzionarle assume il carattere di una scelta politica intenzionale che trovo particolarmente arrischiata. Il pericolo, lo ripeto, è lo «scontro di civiltà», esattamente quello che persegue il fondamentalismo islamico, che vorrebbe costringerci a nuove crociate, a nuove cacciate di moriscos, che accompagnarono — non dimentichiamolo — quelle dei marranos, preludio, all’inizio dell’Età moderna, di quanto, nel cuore dell’Europa, alcuni secoli dopo, porterà ad Auschwitz.