La terapia jazz diDiana
«Canto l’amore dopo il buio della depressione Mi sentivo in colpa per il successo che avevo»
PARIGI La sera, al teatro Dejazet, Diana Krall ha suonato la canzoni dell’ultimo album Turn Up The Quiet dedicandole al produttore Tommy LiPuma, scomparso pochi giorni dopo la fine del disco. Un concerto magnifico per semplicità ed eleganza, spontaneo fino alle lacrime finali e incontrollabili versate per l’amico. Il giorno dopo, in albergo per l’intervista, la pianista e cantante nordamericana racconta che cosa sta passando, e perché questo album pieno di canzoni d’amore è così importante per lei. Standard jazz, come terapia dopo momenti bui.
Tra un pezzo e l’altro in teatro ha ringraziato più volte Parigi, perché?
«Tutti amano Parigi, ognuno per le sue ragioni. Qui ho registrato Live in Paris, un album al quale sono molto affezionata. Era il 2002, un periodo fantastico della mia vita. C’erano ancora le persone che ho amato tanto, mio padre, Tommy, e un sacco di amici che erano venuti qui in aereo per ascoltarmi e passare qualche serata assieme. Uscivamo fuori a cena, non c’erano ancora i telefonini e i social media, si poteva stare insieme e chiacchierare senza distrazioni. È stato un momento magnifico. Poi a Parigi si sente che c’è una cultura del jazz, dagli appassionati che vengono a sentirti ai tecnici della trasmissione tv che sanno come mettere il microfono nel modo giusto».
È molto critica nei confronti dei social media e della tecnologia?
«Un po’, ma non voglio esagerare, trovo un po’ stressante l’essere sempre connessi con il mondo ma allo stesso tempo ne approfitto io per prima, per esempio per vedere mio marito (Elvis Costello, ndr) quando siamo lontani e stiamo ore a parlarci con la chiamata video, come l’altra sera».
Nel nuovo album lei torna al Great American Songbook, cioè interpreta i
grandi classici. In maggioranza canzoni d’amore, e di un amore felice. «Like Someone in Love», «Isn’t It Romantic», «L-O-V-E», fino allo standard forse più famoso, «Night and Day» di Cole Porter. «Ho scelto questi pezzi tra una playlist infinita che ascoltavo
passeggiando lungo il mare, a Vancouver, dopo avere accompagnato a scuola i miei gemelli di 10 anni (Dexter e Frank, in omaggio a Dexter Gordon e Frank Sinatra, ndr). Non mi piace questa idea che il jazz sia una musica per vecchi, credo invece che siano canzoni che danno un sacco di energia, perfette per giovani innamorati». La scelta di canzoni gioiose quindi è consapevole?
«È un’idea nata per caso ma alla fine sì. Ho passato un periodo difficile per colpa di una polmonite che mi ha molto indebolita, credo di essere passata attraverso una depressione che come sempre è infida, perché all’inizio si insinua senza che tu stessa e le persone che ti vogliono bene se ne accorgano. Poi ho fatto un servizio fotografico in cui sorrido molto, sono allegra, e mi sono detta che era questa la parte di me che mi sarebbe piaciuto riscoprire. Mi sono ripetuta che avevo un marito straordinario, due figli fantastici, che la dovevo smettere una buona volta di sentirmi in colpa per il successo che avevo, potevo benissimo perdonarmelo anche perché probabilmente sarebbe passato in fretta. Così è nato Turn Up The Quiet. Potrebbe essere una buona colonna sonora di un film di Woody Allen, il che per me è il massimo dei complimenti».
Nel concerto, e nell’album, lei suona e canta in modo molto misurato.
In passato ero più violenta nel cantare e nel suonare Ora sento di potermi esprimere con delicatezza, sono più serena
«È vero, prima ero più violenta. Ora sento di potermi esprimere con delicatezza, mi sento più serena. Anche se non riesco a essere pacata e distante, mi spiace. Ieri sera mi sono commossa pensando a Tommy Li Puma, era la prima volta che con la band suonavamo dal vivo queste canzoni che ho registrato con lui, immaginavo che gli sarebbero piaciute e mi mancava molto. Ma è così».
L’album precedente, «Wall flower», era fatto di classici pop e rock. È felice di essere tornata al jazz?
«Sì. Resto legata a Wallflower, ha avuto un grande successo, ma era difficile e stressante suonarlo dal vivo. Troppi accordi da memorizzare, e “mi ricorderò di prendere quella nota in Desperado”? Il jazz, per me, è libertà».