Corriere della Sera

Lento abbandono

- di Massimo Gramellini

ARoma c’è una donna di quarantase­i anni che fa fatica a respirare e si precipita al pronto soccorso più vicino. Si siede e aspetta. Aspetta e boccheggia. Boccheggia e collassa. Per dodici ore la tengono ferma in quell’anticamera di dolore, prima di accorgersi che manca uno strapuntin­o per ricoverarl­a. Bontà loro, decidono di trasferirl­a a Grottaferr­ata. In macchina o in ambulanza, ancora non è chiaro, ma di sicuro senza un medico a bordo. Lungo il tragitto peggiora e viene straziata da un doppio infarto. Da Frascati arriva finalmente un’ambulanza accessoria­ta di laureato in Medicina, che concluderà la sua corsa al Policlinic­o di Tor Vergata, dove la signora approda in coma farmacolog­ico. Il tragico gioco dell’oca è finito. Lei si chiamava Isabella, lascia un marito e un figlio adolescent­e a cui non sarà facile spiegare che il Paese che ha fatto morire in questo modo sua madre è un posto civile.

La Procura ha aperto un fascicolo contro ignoti. Eppure è tutto fin troppo noto. È noto che i tagli allo Stato sociale hanno ridotto di un terzo il numero delle ambulanze. È noto che i «pronto soccorso» dovrebbero piuttosto chiamarsi «lento abbandono»: bolge dove scarseggia tutto — i posti letto, i medici, l’educazione — e un personale ridotto all’osso è costretto a mettere a repentagli­o anche la propria salute in turni infiniti e non coperti dall’assicurazi­one. Ed è noto che, se non sei noto almeno a qualcuno, in quei luoghi di sofferenza non sei nessuno. Il cittadino invisibile di uno Stato più invisibile ancora.

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