SI CONSOLIDA L’ASSE PD-FI MA AFFIORANO LE RESISTENZE
Comincia a spuntare un fronte della resistenza al voto anticipato. Quello che esce allo scoperto è interno alla sinistra, Pd compreso: anche se Matteo Renzi avverte che la linea della maggioranza dem è «vincolante». E abbina al «no» al sistema proporzionale quello a un governo post-elettorale con Silvio Berlusconi. Ce n’è poi uno più sommerso tra i senatori: potrebbe emergere quando la riforma approderà a Palazzo Madama. Ma soprattutto, si intravedono perplessità corpose sulle elezioni in autunno sul fronte governativo, che capta gli umori europei e teme la speculazione finanziaria.
Si tratta di una filiera che appare debole e confusa, di fronte a un accordo Pd-FI destinato a cementarsi sempre più. L’asse è osservato in modo sornione dal Movimento 5 Stelle e subìto dalla Lega: entrambi lo avallano sperando che porti alle urne. Luigi Di Maio già pregusta una manovra correttiva approvata da un governo del Movimento, con lui a Palazzo Chigi. Insomma, non si vede come la corsa alle urne in autunno possa essere fermata: nonostante una preoccupazione palpabile.
Nessuno è ancora in grado di spiegare perché, se si approva la riforma elettorale, bisognerebbe precipitarsi al voto con la legge di stabilità non ancora approvata e il rischio dell’esercizio provvisorio del bilancio. Non si può pensare che il partito di maggioranza trascuri le conseguenze di un’accelerazione azzardata. Dal Pd si definiscono «panzane» i segnali negativi arrivati dai mercati finanziari in coincidenza con le voci di elezioni. C’è da sperare che sia davvero così, ma pochi sono disposti a scommetterci.
Anche perché si registra una certa unanimità sul fatto che difficilmente dopo un voto in autunno ci sarà una maggioranza in grado di prendere misure per arginare il debito pubblico. Renzi, tuttavia, appare determinato a approvare la riforma e archiviare l’esecutivo di Paolo Gentiloni: sebbene sarebbe il terzo a guida Pd in una sola legislatura, dopo quelli di Enrico Letta e dello stesso Renzi. Né sembra preoccupato dalle firme di trentuno senatori dem che dicono no al proporzionale e al voto anticipato. Dagli incontri con FI, è confermata la volontà di bruciare le tappe: testo alla Camera a metà giugno, e il 7 luglio al Senato.
Ma «quando si vota non è un problema da affrontare qui e adesso», sostiene Renzi, ribadendo l’appoggio a Gentiloni. Ora bisogna capire quale sarà il sistema che uscirà dalla trattativa; se i tempi saranno rispettati senza forzature simili a quelle che portarono all’Italicum: esperienza sfortunata. Il Quirinale aspetta i risultati, prima di dire la sua. Sergio Mattarella spera che la riforma si faccia e sia condivisa: è quanto ha chiesto. Renzi avverte che «andare al voto si chiama democrazia». Eppure sa che, sulle elezioni, l’ultima parola spetta al capo dello Stato.