Lo Stato confisca una ditta per rifiuti
I12 patteggiamenti su 12 richieste di rinvio (a pene tra i 2 anni e i 9 mesi) possono essere ordinari, già meno lo è il divieto per l’azienda di contrattare 2 mesi con la Pubblica amministrazione, e ancor meno frequente è la confisca di 3,4 milioni di euro di profitto del reato di trattamento illecito rifiuti. E pure il tema dell’accusa è alquanto poco di routine: 8.000 tonnellate di fanghi, provenienti da depuratori civili e industriali, riversate nei campi di compiacenti agricoltori lodigiani senza che fossero prima correttamente trattate. Ma ciò che è davvero inusuale è, in più, la confisca di un intero stabilimento: l’impianto a Lomello (Pavia) dell’azienda «Cre-Centro ricerche ecologiche» per «lo stoccaggio e trattamento di rifiuti speciali non pericolosi da utilizzare in agricoltura», da ieri passato armi e bagagli allo Stato al pari delle «attrezzature utilizzate per il trattamento e il recupero dei fanghi». Attraverso questo impianto, e quelli lodigiani (dissequestrati) di Maccastorna e Meleti, il «Cre» dichiara di recuperare ogni anno «fino a 365.000 tonnellate di materiale reimmesso nella filiera produttiva come risorsa per la concimazione dei terreni nella catena della produzione alimentare», in collaborazione «con oltre 250 aziende agricole che scelgono di utilizzare i fanghi biologici per dare nutrimento alle proprie colture». Solo che questo segmento di business, in sé legittimo, stando all’inchiesta dei carabinieri del Noe e del pm milanese Piero Basilone, e alla sentenza del gup Valerio Natale, non ha rispettato le procedure di legge in almeno 400 operazioni di spandimento nelle campagne: classificazioni errate del rifiuto sui formulari, pesi difformi dalla realtà, false comunicazioni alle autorità che rilasciavano le autorizzazioni per uso agronomico dei fanghi, false analisi dei terreni, irregolarità nel carico di mezzi e nei trasporti.