Corriere della Sera

Il sorriso di mille donne per l’ultima lezione di Veronesi

- Di Giangiacom­o Schiavi

Il cancro è qualcosa che non ci meritiamo, un agguato che irrompe senza rispetto nella vita e quando in un teatro mille donne operate al seno raccontano la loro voglia di vivere, viene fuori lui: Umberto Veronesi e la sua empatia, le sue parole, il suo sguardo, la sua alchimia tra scienza e umanità. Dietro la guerra non vinta alla malattia che oggi si combatte su più fronti, la sua ultima lezione, registrata allo Ieo, è un atto d’amore per la fragilità che merita rispetto, attenzione, ascolto; la fragilità di una persona che all’improvviso perde le connession­i ed entra nel buio della paura. «Io ho sempre detto ai medici: ascoltate questa persona, anche in un corridoio, sedetevi sul suo letto, datele un po’ del vostro tempo, senza paura di perderlo. Noi ne abbiamo. Per le nostre pazienti, noi medici abbiamo tutto il tempo del mondo…». Le sue pazienti, le stesse che hanno inventato con lui «Ieo per le donne», 10 anni fa, quando una ragazza ha detto al prof che preferiva morire piuttosto che perdere il suo seno, hanno testimonia­to ieri a Milano, al teatro Manzoni, un affetto pieno di gratitudin­e per il grande oncologo che ha fatto della medicina narrativa il campo base da dove partire, per l’intervento chirurgico e per ogni terapia. La felicità è fatta di cose essenziali, tante non sono indispensa­bili, si dice: restituire un simbolo di bellezza alle donne malate, senza inutili mutilazion­i, e trovare momenti di condivisio­ne, fa parte delle cose indispensa­bili che Veronesi ha messo nel percorso di cura. Lo ricorda Lella Costa, quando parla delle amate pazienti e del suo carisma da rockstar, lo dice Monica Guerritore, che dal burrone del cancro è uscita al centro del mondo, lo ripete Mara Venier, che ha scoperto con lui l’importanza della prevenzion­e. Poi Mara Maionchi ci scherza su, raccontand­o le sue tranvate, una a destra e una a sinistra, per non farsi mancare niente. «Un giorno gli ho chiesto: non potrei finire in gloria e avere una sesta...?». Parlano medici e ricercator­i, e si sente il vuoto di una presenza che fino alla fine è stato l’uomo con il camice bianco, il padre della quadrantec­tomia e del linfonodo sentinella, pioniere all’Istituto dei tumori e fondatore dell’Istituto europeo di oncologia, «un sogno per rendere concrete le sue idee sui malati, che sono persone e non casi», dice il figlio Paolo. Tante lacrime si stemperano nell’ironia, le donne dello Ieo hanno un coraggio leonino nel descrivere un corpo scansionat­o, irradiato, sezionato, drenato, ricucito. Un gruppo ha creato un’amicizia su Facebook, si chiamano «Guerriere», la fondatrice, Martina, è una forza della natura: «Ci diciamo tutto, ci aiutiamo nei controlli, ci facciamo forza, ci concediamo l’aperitivo sui Navigli, cerchiamo di vivere e anche di sorridere». L’ironia non salva la vita, meglio i Veronesi, i senologi, gli oncologi, i radioterap­isti, i medici umani che rispondono di notte su WhatsApp, quelli che si siedono sul letto del paziente e quelli che in sala operatoria fanno come Harry Potter contro Voldemort, combattono il maligno e stanno dalla parte del bene. Ma le donne hanno ironia e coraggio da vendere. Come Nicoletta, da Rimini, bella, solare, due interventi al seno. «Vedo nel suo sorriso un’arma vincente», le aveva detto Veronesi. «Ogni mattina vado in bagno, guardo le smagliatur­e allo specchio e cerco di sorridere», dice sforzandos­i di non piangere. La vita, con un sorriso, è più forte della malattia.

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