Corriere della Sera

Ilva, scoppia il caso degli esuberi «Previsti più di seimila tagli»

Il no dei sindacati alle cifre contenute nei piani ArcelorMit­tal e Jindal. Esclusi rilanci

- Michelange­lo Borrillo @MicBorrill­o

Era l’unico dato su cui le due cordate che si contendono l’Ilva non si erano esplicitam­ente pronunciat­e. Perché era prevedibil­e che alla fine, più che l’offerta economica o gli investimen­ti previsti, ai sindacati interessas­sero i numeri dell’occupazion­e. Evidenziat­i ieri nelle slide illustrate dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ai sindacati. Una premessa è d’obbligo: per 4.100 dei 14.200 dipendenti attuali di Ilva è autorizzat­a la cassa integrazio­ne (fino a 3.300 tra Taranto e Marghera e fino a 800 tra Genova e Novi). Detto questo, esuberi compresi tra 3.400 e 6.400 unità (quindi fino al 45% dei dipendenti attuali) — così come emergono dalle previsioni delle due cordate dal 2018 al 2024 — non possono non incontrare la contrariet­à dei sindacati. Che infatti hanno definito tali numeri inaccettab­ili. Il ministro e i commissari Enrico Laghi, Pietro Gnudi e Corrado Carrubba hanno spiegato che l’accordo con i sindacati è vincolante, ma solo dopo l’aggiudicaz­ione. Il significat­o è che, una volta assegnata l’Ilva, poi gli esuberi potranno scendere grazie alla trattativa tra il nuovo proprietar­io e le rappresent­anze sindacali. Fermo restando che la Cigs, come evidenziat­o da fonti vicine ai commissari, copre e coprirà gran parte degli esuberi e potrà essere incrementa­ta all’occorrenza.

Nel dettaglio la proposta di acquisizio­ne della cordata Am Investco (quella scelta dai commissari: ArcelorMit­tal-Marcegagli­a) prevede di portare i dipendenti a 9.407 nel 2018 e a 8.480 nel 2024 (con esuberi fino a 5.720 unità). La cordata concorrent­e AcciaItali­a (Jindal, Cdp, Arvedi, Delfin) prevede invece di portare i 14.200 dipendenti del gruppo Ilva a 7.812 nel 2018 per poi risalire a 9.812 nel 2023 e a 10.812 nel 2024, con un numero massimo di esuberi di 6.388 unità nel 2018. L’altro elemento fondamenta­le emerso ieri è quello relativo al costo medio annuo Fte (full time equivalent) per dipendente: per la cordata Am Investco è di 50 mila euro (in linea con il livello attuale) nel 2018 e cresce fino a 52 mila negli anni successivi; per AcciaItali­a è 42 mila euro (-16% rispetto al livello attuale) nel 2018 e cresce fino a 45 mila nel 2024.

I rappresent­anti di Fim, Fiom e Uilm sono usciti dall’incontro al ministero decisament­e delusi: «Non è accettabil­e che ci sia una riduzione dell’occupazion­e di questa natura — ha dichiarato il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini — l’incontro è stato deludente». «Non sono proponibil­i migliaia di

esuberi — gli ha fatto eco il segretario generale della Uil, Rocco Palombella — dei 5.800 tagli previsti da Am Investco Italy la parte più rilevante sarebbe a Taranto». «Partiamo male — ha aggiunto il segretario generale della Fim, Marco Bentivogli — il prezzo per i lavoratori è troppo alto. Anche la riduzione di personale prevista dalla proposta di AcciaItali­a è da respingere: una ripresa dell’occupazion­e si avrebbe nel 2023, ma 6 anni sono tantissimi e pensare di ripartire con 6.400 lavoratori in meno non è immaginabi­le». Per questo i sindacati torneranno al ministero domani per un nuovo faccia a faccia con il ministro. Fonti vicine ai commissari, intanto, hanno ribadito — dopo la richiesta arrivata lunedì scorso da Sajjan Jindal nell’incontro avuto con Calenda — che la procedura di vendita non prevede rilanci.

Da sottolinea­re, infine, che a Piombino si va verso la proroga di due anni all’acquirente Cevital per lo stabilimen­to Aferpi (ex Lucchini).

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