Ilva, scoppia il caso degli esuberi «Previsti più di seimila tagli»
Il no dei sindacati alle cifre contenute nei piani ArcelorMittal e Jindal. Esclusi rilanci
Era l’unico dato su cui le due cordate che si contendono l’Ilva non si erano esplicitamente pronunciate. Perché era prevedibile che alla fine, più che l’offerta economica o gli investimenti previsti, ai sindacati interessassero i numeri dell’occupazione. Evidenziati ieri nelle slide illustrate dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ai sindacati. Una premessa è d’obbligo: per 4.100 dei 14.200 dipendenti attuali di Ilva è autorizzata la cassa integrazione (fino a 3.300 tra Taranto e Marghera e fino a 800 tra Genova e Novi). Detto questo, esuberi compresi tra 3.400 e 6.400 unità (quindi fino al 45% dei dipendenti attuali) — così come emergono dalle previsioni delle due cordate dal 2018 al 2024 — non possono non incontrare la contrarietà dei sindacati. Che infatti hanno definito tali numeri inaccettabili. Il ministro e i commissari Enrico Laghi, Pietro Gnudi e Corrado Carrubba hanno spiegato che l’accordo con i sindacati è vincolante, ma solo dopo l’aggiudicazione. Il significato è che, una volta assegnata l’Ilva, poi gli esuberi potranno scendere grazie alla trattativa tra il nuovo proprietario e le rappresentanze sindacali. Fermo restando che la Cigs, come evidenziato da fonti vicine ai commissari, copre e coprirà gran parte degli esuberi e potrà essere incrementata all’occorrenza.
Nel dettaglio la proposta di acquisizione della cordata Am Investco (quella scelta dai commissari: ArcelorMittal-Marcegaglia) prevede di portare i dipendenti a 9.407 nel 2018 e a 8.480 nel 2024 (con esuberi fino a 5.720 unità). La cordata concorrente AcciaItalia (Jindal, Cdp, Arvedi, Delfin) prevede invece di portare i 14.200 dipendenti del gruppo Ilva a 7.812 nel 2018 per poi risalire a 9.812 nel 2023 e a 10.812 nel 2024, con un numero massimo di esuberi di 6.388 unità nel 2018. L’altro elemento fondamentale emerso ieri è quello relativo al costo medio annuo Fte (full time equivalent) per dipendente: per la cordata Am Investco è di 50 mila euro (in linea con il livello attuale) nel 2018 e cresce fino a 52 mila negli anni successivi; per AcciaItalia è 42 mila euro (-16% rispetto al livello attuale) nel 2018 e cresce fino a 45 mila nel 2024.
I rappresentanti di Fim, Fiom e Uilm sono usciti dall’incontro al ministero decisamente delusi: «Non è accettabile che ci sia una riduzione dell’occupazione di questa natura — ha dichiarato il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini — l’incontro è stato deludente». «Non sono proponibili migliaia di
esuberi — gli ha fatto eco il segretario generale della Uil, Rocco Palombella — dei 5.800 tagli previsti da Am Investco Italy la parte più rilevante sarebbe a Taranto». «Partiamo male — ha aggiunto il segretario generale della Fim, Marco Bentivogli — il prezzo per i lavoratori è troppo alto. Anche la riduzione di personale prevista dalla proposta di AcciaItalia è da respingere: una ripresa dell’occupazione si avrebbe nel 2023, ma 6 anni sono tantissimi e pensare di ripartire con 6.400 lavoratori in meno non è immaginabile». Per questo i sindacati torneranno al ministero domani per un nuovo faccia a faccia con il ministro. Fonti vicine ai commissari, intanto, hanno ribadito — dopo la richiesta arrivata lunedì scorso da Sajjan Jindal nell’incontro avuto con Calenda — che la procedura di vendita non prevede rilanci.
Da sottolineare, infine, che a Piombino si va verso la proroga di due anni all’acquirente Cevital per lo stabilimento Aferpi (ex Lucchini).