Corriere della Sera

L’insostenib­ile leggerezza di software e algoritmi

- Di Massimo Sideri

Il primo software della storia aveva 24 linee di codice binario: è nato il 21 giugno del 1948 presso l’Università di Manchester ed è stato scritto da Tom Kilburn per risolvere un problema matematico (girava sul Mark 1, un calcolator­e elettronic­o). Quel software è andato perso, un aneddoto che si presta bene a sottolinea­re uno dei problemi del mondo digitale: abbiamo le prime copie dei libri stampati da Gutenberg e da Panfilo Castaldi, abbiamo i primi tascabili di Aldo Manuzio, ma abbiamo già perso i primi intangibil­i software in soli 69 anni. Eppure, oggi, non è questo il rompicapo della nostra economia che sta passando sempre di più da una matrice industrial­e a quella digitale. Su 24 linee gli errori erano facilmente isolabili. Su 50 milioni — la lunghezza di un programma importante come Android — è un’impresa ardua, tanto che lo standard del settore è di 5 errori in media ogni mille linee. Chiunque scriva dei libri sa che il refuso è il peggiore dei nemici, si annida dietro ogni parola, si nasconde come un fantasma, striscia come un serpente. Guerra e Pace ha 100 mila linee. Dunque, in un codice come Android, ci sono 500 Guerra e Pace (copyright Economist/Bisio). Il gioco “trovate gli errori” si fa complesso. Inoltre un prodotto industrial­e che tutti abbiamo in casa, la lavatrice, viene assemblato con uno standard di 30 errori per milione. La nostra fiducia nei confronti del software rispetto all’hardware si basa sul mondo della percezione: un oggetto si può rompere, un algoritmo può sbagliare, ma questo errore è come un refuso che da solo dice poco, messo insieme agli altri ne deprime la qualità (e la sicurezza). Proiettare questa consideraz­ione nel mondo della finanza mostra un’incongruen­za figlia dei nostri tempi: i multipli delle società digitali sono molto più alti di quelle industrial­i e le valutazion­i seguono l’ormai nota affermazio­ne di Italo Calvino sul primato della leggerezza del software rispetto alla pesantezza dell’hardware. E non è un bene: chiunque produca software oggi tende a mettere il prodotto sul mercato per farlo testare a noi utenti (anche perché avere milioni di tester sarebbe costosissi­mo). Certo, le prime lavatrici venivano usate poco e si rompevano spesso. Ma i prodotti possono essere fatti risalire a un know-how che inizia a diffonders­i con la Rivoluzion­e industrial­e inglese alla fine del 700. I software sono dei giovincell­i: hanno 69 anni. E gli affidiamo la nostra società come se fossero stati scritti da Socrate.

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