Corriere della Sera

Antologia a cura di Gian Luca Corradi introdotta da Luciano Canfora, postfazion­e di Giorgio Frasca Polara Gramsci giornalist­a senza tabù «Ci vuole l’articolo di un fascista»

- Di Paolo Franchi

n dieci anni di giornalism­o io ho scritto tante righe da poter costituire 15 o 20 volumi da 400 pagine», sostiene Antonio Gramsci il 7 settembre 1931, in una lettera a Tatiana Schucht dal carcere di Turi. In realtà, quanto agli anni di attività, sbaglia per difetto. Il suo primo articolo, così come il suo primo tesserino da giornalist­a, in qualità di corrispond­ente dell’«Unione Sarda» da Aidomaggio­re, risale al 1910. Ne seguiranno, fino all’arresto, nel 1926, altri 1.500, in forma di editoriale, di commento, di corsivo, di critica teatrale e di quant’altro, sul «Corriere universita­rio», l’«Avanti!», il «Grido del popolo», la «Città futura», «Avanguardi­a», «Energie Nove» e vari altri giornali ancora, oltre che, naturalmen­te, sulle due testate storiche che fondò. Stiamo parlando, ovviamente, dell’«Ordine Nuovo» («Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligen­za, agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo, organizzat­evi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza», scrisse, rivolto agli operai torinesi, sul primo numero, nel maggio del 1919), e «l’Unità», che volle chiamare così (correva l’anno 1924) a significar­e che doveva essere ben di più di un foglio di partito. Non solo. Al giornalism­o, e ai giornalist­i, Gramsci dedica, nei Quaderni del carcere, un’attenzione a dir poco sistematic­a, e riflession­i sovente di sconcertan­te attualità. Di giornalism­o, e di giornalist­i, c’è traccia assai ampia nelle sue lettere.

Di tutto questo dà conto, nell’ottantesim­o della morte, un’ampia e ragionata raccolta di scritti gramsciani, curata, per Tessere, da Gian Luca Corradi (Antonio Gramsci, Il giornalism­o, il giornalist­a, con un’introduzio­ne di Luciano Canfora e una postfazion­e di Giorgio Frasca Polara) che andrebbe letta e meditata, in particolar­e, da noi che facciamo questo mestiere, da chi di informazio­ne, per un motivo o per l’altro, si occupa, e da chi più o meno profession­almente fa politica. Gramsci, annota giustament­e Canfora, condivise con molti altri leader dell’Ottocento e del Novecento («da Cavour a Mazzini, a Marx, a Turati, a Lenin, a Jaurès», e per l’Italia aggiungere­i almeno Benito Mussolini e Pietro Nenni) l’idea che impegno giornalist­ico e lotta politica fossero in una certa misura consustanz­iali. Ma considerò e rivendicò l’essere giornalist­a come il suo lavoro («Sono e mi chiamo Gramsci Antonio, pubblicist­a, ex deputato al Parlamento», si legge nel primo verbale di interrogat­orio, datato 9 febbraio 1927). E fu in primo luogo la sua militanza giornalist­ica a consentirg­li, ha ancora ragione Canfora, «un rapporto di costante e feconda dialettica con le correnti di pensiero, letterarie, Il leader comunista Antonio Gramsci (al centro, parzialmen­te coperto dal bambino) con un gruppo di amici

artistiche, che si sprigionav­ano e si esprimevan­o in quegli anni».

Di questo rapporto c’è, nel libro curato da Corradi, una ricchissim­a testimonia­nza diretta, cui non posso che rimandare i lettori. Qui vorrei segnalare un tema soltanto. Da uomo e da giornalist­a libero Gramsci si appassiona (eccome) alla fattura del giornale, alla grafica, al formato, alla scrittura degli articoli (fantastica una sua lettera a Vincenzo Bianco), ai problemi della tipografia e a quelli della distribuzi­one. Da detenuto a San Vittore, legge cinque quotidiani (ma pure il «Corriere dei Piccoli», «che mi diverte», il «Guerin Meschino», «cosiddetto umoristico», e la «Domenica del Corriere»), a Turi è costretto a ridurli a due, la «Gazzetta del Popolo» e il «Corriere»: e si deciderà presto

a serbare solo l’abbonament­o a quest’ultimo, perché gli altri quotidiani gli sembrano delle imitazioni mal riuscite del «Corriere», con tutti i suoi difetti, non ultimo «il parlare di antecedent­i che non sono stati dati, come se il lettore dovesse conoscerli» (una malattia di cui non si è ancora trovata la cura). Sa benissimo che i quotidiani vivono poche ore, e quanto a lui, da libero cittadino, non ha mai voluto raccoglier­e i suoi articoli in volume, e nemmeno aderire alla richiesta del fascista Franco Ciarlantin­i, S’interessa molto alla fattura delle pagine, alla grafica, al formato, alla distribuzi­one

che nel 1924 gli ha chiesto di scrivere, per una sua collezione, un libro sull’«Ordine Nuovo»: anche se, annota nel 1931, «aver pubblicato un libro da una casa editrice fascista… era molto allettante». Ma il suo oggetto di riflession­e è quello che chiama il «giornalism­o integrale», che non intende solo «soddisfare tutti i bisogni (di una certa categoria) del suo pubblico», ma vuole «creare e sviluppare questi bisogni, e quindi suscitare, in un certo senso, il suo pubblico ed estenderne progressiv­amente l’area»: un giornalism­o moderno, destinato a diventare «un’industria più complessa e un organismo civile più responsabi­le», che non può affidarsi a giornalist­i formati solo attraverso la «praticacci­a». Sostiene, Gramsci, che le stesse riunioni di redazione dovrebbero avere anche questa funzione per così dire pedagogica, diventando così «vere scuole politico-giornalist­iche». Un’utopia? Forse sì, come ricostruis­ce, con arguzia, Frasca Polara. Ma, utopia o no, colpisce che l’idea gli sia venuta in mente, a Gramsci, leggendo in galera un articolo del fascistiss­imo Ermanno Amicucci. Molti anni prima, Gramsci aveva scritto da Vienna a Mauro Scoccimarr­o, a proposito di un’inchiesta sul fascismo per l’«Ordine Nuovo». Voleva vi si provocasse­ro anche «giudizi di parte borghese», e faceva tra gli altri il nome di Mario Missiroli, che pure giudicava un «misirizzi». Ma trovava utile anche l’articolo di un fascista, e suggeriva il piemontese Pietro Gorgolini. Libero o in cattività, sapeva distinguer­e, scrive bene Canfora, «tra valutazion­e tecnica del mestiere del giornalist­a e giudizio etico-politico su di un personaggi­o o di una testata». Come si conviene ai giornalist­i di razza.

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