Rapito da Cristo Vivere oggi un’estasi mistica
Forse il riferimento più prossimo, per chi se lo ricorda, è quello studiato a scuola col finale del Paradiso: tutto l’ultimo di cento canti per ripetere, povero Dante, che descrivere Dio era impossibile e poi un verso solo per esplodere in quel «fulgore», un flash di undici sillabe e stop, fine della storia. Ma quella era letteratura: invenzione, come sappiamo. Cosa diremmo oggi se qualcuno — non un mistico del Medioevo, né un matto, né un fruitore di droghe varie, no: un uomo «normale», ammesso che la parola voglia dir qualcosa — venisse a dirci che lui quella esperienza l’ha fatta sul serio e ce la raccontasse? Anzi, sentite come lo fa: «Non si può capire questo stato se non vivendolo. Quando l’anima viene presa da Cristo essa in quell’istante vive il suo destino supremo. Non vi è nulla che possa rappresentare e dire questo avvenimento, eppure accadrà. Bisognerebbe moltiplicare per miliardi di volte l’amore che proviamo e che riceviamo dalle persone che amiamo di più, immaginare di essere immersi in questo stato, e non sarebbe che una infinitesima parte di un Infinito amore infinitamente più grande e sublime». Il nostro destino, scrive, è «restare per sempre imprigionati in quella gloria». Solo che lui, dice, quella cosa l’ha vissuta davvero e ce la racconta. Non per altro: per condividerla, per dirci che «se un uomo vive quel Caravaggio (1571-1610), Estasi di San Francesco
rapimento non desidera più altro» e che un giorno, appunto, questo «accadrà». E allora? Cosa diremmo?
Lui è Arnoldo Mosca Mondadori. Il suo libro autobiografico, pubblicato dalla Morcelliana (pagine 80, 9) e ultimo di un elenco che va da La seconda Intelligenza a La rivoluzione eucaristica, si chiama proprio Imprigionati nella gloria e non vuole essere altro che quanto appena detto: il racconto di una esperienza. Ricorrente, nel suo caso. E una sfida forte, se ci pensiamo, nell’ambito di un pezzo di mondo per il quale la dimensione spirituale è oggi comunque relegata a fondo classifica e di un altro pezzo in cui quella dimensione è diventata fanatismo.
A proporre una risposta laica alla domanda di cui sopra è Salvatore Natoli, filosofo teoretico che del volumetto di Mosca Mondadori ha curato la prefazione. Per ricordare, certo, che la scrittura mistica è inserita dentro una lunga tradizione anche letteraria che riconosce due archetipi: quella «sponsale» del Cantico dei Cantici, dove il rapimento verso l’Oggetto è addirittura un’estasi erotica; e quella dell’essenza, sprofondamento nel mistero. Qui presenti entrambi, scrive Natoli. Ma il punto è, aggiunge, che pure se al racconto di un’esperienza si può decidere di credere o non credere quel che non può mancare è comunque il rispetto per chi se ne dichiara «testimone». La denigrazione del quale («da quale pulpito? con che autorità?») sarebbe quella sì, superficiale e fuori luogo. Un laico, è la sua provocazione ma non tanto, dovrebbe essere interessato a questi testi proprio «in ragione della loro assurdità». Materia «folle» come l’amore di Dio, ricorda Mosca Mondadori: «Siamo così importanti per Lui — ripete — che se lo sapessimo vivremmo nella pace più totale». Perché non sperarci?
Il sardo Antonio Gramsci (1891-1937) fondò nel 1919 a Torino il giornale «L’Ordine Nuovo» e divenne negli anni Venti il leader del Partito comunista d’Italia. Arrestato e condannato sotto il fascismo, scrisse durante la prigionia i Quaderni del carcere, considerati una pietra miliare della cultura marxista