Far pagare gli ospiti: un’idea contro la degenerazione dei talk
Nel corso del suo programma di archeologia industriale, Operai (Rai3), Gad Lerner ha intervistato il sociologo situazionista Domenico De Masi autore del libro Lavorare gratis, lavorare tutti. Il professore, già noto per le sue teorie sull’ozio (teorie appunto, perché lui non ozia mai, è sempre in televisione o impegnato a esporre il suo pensiero sul dolce far niente), ha esposto una nuova tesi: i disoccupati offrano gratuitamente la propria opera e scompaginino il sistema finché non ci sarà una redistribuzione dei carichi di lavoro.
In altre parole, solo lavorando gratis i disoccupati possono mettere in crisi un sistema che privilegia chi il lavoro già ce l’ha. Luddismo postmoderno? Colpo di sole? Boh! Ragionando alla De Masi si potrebbe fare una modesta proposta. Siccome nella nostra tv il genere più praticato è il talk show e gli effetti sono ormai giunti alla degenerazione (sempre la stessa compagnia di giro, impossibilità di approfondire un qualsiasi concetto, propensione alla lite per conquistare visibilità, ecc), ecco l’idea. Far pagare gli invitati.
Mi spiego meglio. Il talk non funziona più come condivisione di pensiero, conoscenza, discussione, esercizio di libertà. Serve soltanto all’interessato per mettersi in mostra, per entrare nel circuito delle persone conosciute, per fare politica o esercitare indirettamente la propria professione. Di esempi se ne potrebbero fare mille: dal politico ruspante alla criminologa avvenente. Chi viene invitato in un talk show non solo non riceve alcun compenso (come credo già accada), ma paga una tassa, che aumenta in proporzione alle ore che passa in video. Questo meccanismo serve solo a scompaginare il sistema degli inviti, finché non ci sarà una redistribuzione dei carichi di presenza.
Quanto ai soldi riscossi, si potrebbe pensare a un fondo nazionale di solidarietà per giovani autori che pubblicano libri e non vanno in tv a reclamizzarli. O cose del genere.