Corriere della Sera

LA MAGGIORANZ­A PERDE PEZZI E I CINQUE STELLE FANNO PROSELITI

- Di Massimo Franco

Più l’asse tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si consolida, più diventa friabile la maggioranz­a di governo. Viene travolta qualunque resistenza presente in Parlamento sia sulla riforma del sistema elettorale, sia sulla prospettiv­a del voto anticipato. Ma gli scissionis­ti del Mdp annunciano che non voteranno la fiducia sulla manovra economica. E il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, reagisce agli attacchi di Renzi contro i «veti dei piccoli partiti», rinfaccian­dogli di aver fatto cadere lui due governi; e di sabotare quello di Paolo Gentiloni. Insomma, incombe il rischio di rotolare verso una crisi. Ma senza il Movimento 5 stelle, Pd e Forza Italia non potrebbero avanzare come rulli compressor­i.

Il fantasma del «nuovo patto del Nazareno» tra leader dem e Berlusconi mette in ombra tutto il resto. C’è un imbarazzo palpabile all’idea di un governo post-elettorale tra i due partiti: il leader di FI è costretto a precisare che l’accordo è «sulle regole, non politico», con un occhio al proprio elettorato. È anche grazie a questo imbarazzo che i seguaci di Beppe Grillo possono appoggiare l’accelerazi­one verso le urne, senza essere additati come responsabi­li quanto le altre due forze. Il fatto di ribadire che non si alleeranno con nessuno, nemmeno con la Lega, sembra metterli al riparo dal fuoco incrociato. In questa fase, i veleni scorrono all’interno della sinistra.

Debordano da un Pd dove la minoranza è in tensione. Ma anche da quei settori che vorrebbero presentars­i come alternativ­a eppure già litigano col gruppo dell’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, potenziale federatore dell’«altra sinistra». L’autoisolam­ento del M5S lo protegge da questi conflitti; e anche dalle polemiche su una compressio­ne del dibattito alle Camere, che ricorda le forzature sull’Italicum e sulle riforme costituzio­nali sottoposte al referendum del 4 dicembre. Allora, i Cinque Stelle tuonavano contro il governo. Ora, invece, sono parte del terzetto dei partiti che marciano verso le urne.

I parlamenta­ri di Grillo fanno sapere che L’asse tra Renzi e Berlusconi sembra ferreo, ma crea tensioni a sinistra e a destra, in particolar­e con Alfano vigilerann­o sulla commission­e di indagine sul sistema bancario annunciata dal Pd entro metà giugno. Luigi Di Maio accusa Renzi di anticipare il voto per prevenire una sconfitta alle elezioni di novembre in Sicilia. E intanto cerca di costruire alleanze all’esterno del Parlamento, in Vaticano, nella magistratu­ra. In un convegno del M5S, ieri, l’ex presidente dell’Anm, Pier Camillo Davigo, ha ricevuto un’ovazione dopo avere attaccato il centrosini­stra sulla giustizia: nonostante il suo rifiuto di essere candidato a Guardasigi­lli.

Di Maio, candidato premier in pectore, accarezza sempre più l’idea che il M5S diventi il primo partito. Confida nella fretta renziana, col segretario del Pd convinto che «votare sei mesi prima o dopo non fa differenza»: parole che trascurano la questione dirimente della Legge di stabilità e dei conti pubblici. Se non accade nulla, il 7 luglio si avrà un nuovo sistema elettorale. Sarebbe un’ottima notizia, ma dopo cominceran­no le vere incognite. Il Pd dovrà trovare un modo per far dimettere Gentiloni: e d’intesa con un Quirinale che finora è costretto a fare da spettatore, ma non vuole né può permettere di essere visto come mero esecutore delle decisioni dei partiti.

Le posizioni

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