In politica? Davigo dice no, Di Matteo lascia una porta aperta
A chi avesse ancora voglia di proporgli una poltrona di governo, Piercamillo Davigo ribadisce che non l’accetterebbe: «Ho dato dimostrazione nella vita che non sono interessato alla politica, mi occupo di politici quando rubano, che è cosa diversa. Ritengo che i magistrati non siano capaci di fare politica». Dunque non farà il ministro della Giustizia? «Mai». La platea — per lo più grillina — che assiste al convegno organizzato a Montecitorio dal Movimento 5 Stelle resta un po’ delusa, l’ipotesi che l’ex presidente dell’Associazione magistrati potesse lasciare la toga per un seggio parlamentare era stata accolta con un sonoro «magari». Ecco perché la diversa risposta arrivata dal pm palermitano antimafia Nino Di Matteo — «non parlo dell’eventuale mio impegno politico, ma dico che non sono d’accordo con Davigo e con chi pensa che l’esperienza di un magistrato non possa essere utile alla politica» — viene accolta dal leader pentastellato Luigi Di Maio come «una buona notizia».
I tentativi di portare Davigo al governo risalgono al lontano 1994, quando Berlusconi voleva nominare Antonio Di Pietro al Viminale e Alleanza nazionale propose l’altro ex pm di Mani Pulite come Guardasigilli. Ma Davigo oggi spiega che è una carica che «conta poco o niente: il ministro degli Esteri può spostare gli ambasciatori, quello dell’Interno prefetti e questori, il ministro della Giustizia non può spostare presidenti di Corti d’appello o procuratori generali». Poi lancia una stoccata all’attuale titolare di quel dicastero: «Hanno disatteso tutte le promesse fatte sulla riforma della giustizia», e aggiunge che forse Andrea Orlando lo preoccupa più di Matteo Renzi. «Quando l’Anm disertò l’inaugurazione dell’anno giudiziario per protesta — racconta — disse che le promesse mancate non si potevano addebitare al governo che nel frattempo era cambiato. Gli chiesi che cosa sarebbe successo se Incontro Luigi Di Maio e Piercamillo Davigo, tra loro il deputato Alfonso Bonafede e il magistrato Gioacchino Natoli (Imagoeconomica) fosse stato ministro dell’Economia e se si fosse permesso di annunciare ai mercati che non pagava più i titoli di Stato, perché è esattamente la stessa cosa...».
Ribadito che anche la riforma della giustizia che Orlando cerca di portare avanti da più di tre anni (dal destino ancora incerto) non servirà a migliorare le cose, e anzi per certi aspetti «oltre che inutile è pure dannosa», Davigo torna a dire che nel contrasto alla corruzione non ci sono molte differenze fra destra e sinistra: «Si sono sempre dati da fare non per contrastarla, ma per contrastare le indagini sulla corruzione». Applausi. Ma a bene vedere una distinzione si può fare: «Il centrodestra ne ha fatte di così grosse e così male che di solito non hanno funzionato, mentre il centrosinistra se non ci ha messo in ginocchio almeno ci ha genuflessi». Dunque il bilancio finale del centrosinistra è peggiore, e il giudice che presiede una sezione della Cassazione chiarisce il concetto con l’esempio delle false fatturazioni, solitamente utilizzate per accumulare provviste e pagare tangenti: «Hanno stabilito che sono un reato purché si riverberino sulle dichiarazione dei redditi oltre una certa soglia; in pratica la “modica quantità” che vogliono togliere per la droga».
Per risolvere le difficoltà delle indagini e dei processi ai politici corrotti, Davigo ripropone la ricetta dell’agente sotto copertura e cita gli Stati Uniti: «Lì dopo le elezioni si fanno il test di integrità, mandano i poliziotti a offrire denaro agli eletti, e chi accetta viene arrestato». Standing ovation finale.
Non parlo del mio eventuale impegno, ma non sono d’accordo con Davigo e con chi pensa che l’esperienza di un magistrato non possa essere utile alla politica