Corriere della Sera

«Noi italiani ci sentiamo senza difese»

- A. Nic.

«Pochi giorni fa un camion simile è stato intercetta­to davanti all’aeroporto di Herat, proprio a fianco della base italiana di Camp Arena. Allora andò bene, ma come aveva fatto quel tritolo ad arrivare sino lì? L’autobotte che ha ucciso ieri avrebbe dovuto essere controllat­a prima di arrivare all’ingresso della zona verde. La sensazione è che i cerchi concentric­i di controllo che proteggeva­no le città, stiano sgretoland­osi».

Giuseppe Solfrini è uno dei pochi italiani senza divisa a Kabul. Bastano le dita delle mani per contarli. Antropolog­o, specializz­ato del mondo islamico, ha già nel curriculum quattro anni tra Pakistan e Afghanista­n. Oggi lavora ai progetti di sviluppo dell’ong italiana Intersos.

Perché diminuisce l’efficienza delle forze di sicurezza afghane?

«Forse per la fragilità politica del governo. Le liti interne non aiutano la coesione delle forze armate. Basta girare per Kabul per capire: le milizie espongono la foto del leader sul parabrezza, apertament­e. Sono eserciti privati con priorità diverse».

E’ il ritorno dei Signori della Guerra?

«Non se ne sono mai andati. I pashtun, l’etnia maggiorita­ria, sono gli unici ad aver mantenuto una sorta di collante tribale ad unirli. Il problema è che proprio tra loro sono sorti i talebani. Gli altri, hazara, tajiki, uzbeki, vivono di lealtà locali, personali, cangianti a seconda di dove e da chi riescono ad ottenere i fondi necessari a mantenere gli eserciti che li fanno sopravvive­re».

Nessuna avvisaglia del pericolo?

«Intersos è in una rete di sicurezza che aggiorna su manifestaz­ioni, grado di pericolo, ma prima dell’esplosione, non c’è stato alcun allarme, no». Siete indifesi. «Prendiamo tutte le precauzion­i possibili, ma davanti a questa barbarie — a Kabul come a Manchester — non c’è freno».

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Giuseppe Solfrini di «Intersos»

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