Corriere della Sera

Storia Nicola di L’impresa in panchina con il Crotone e la dedica ad Ale, il figlio 14enne scomparso: «Amore mio sei qui accanto a me, tu mi hai dato la forza»

- Carlos Passerini

Ha detto che poi manterrà la promessa, tornerà in bicicletta dalla Calabria alla sua Torino, «1.380 chilometri in sette o otto tappe insieme a mio cognato e altri amici coraggiosi, sarà un’impresa dura ma mai come quella che ha fatto il Crotone». Però, prima, Davide Nicola ha un’altra cosa da fare, e molto importante: da domani a domenica c’è un impegno irrinuncia­bile a Vigone, dove vive, un torneo di calcio per ragazzini di dieci e undici anni, il «Memorial ciao Ale» dedicato a suo figlio che di anni ne aveva quattordic­i quando nel luglio del 2014 rimase sotto le ruote di un bus di linea con la sua mountain bike, a cento metri da casa. Un paio di settimane prima Alessandro aveva superato l’esame di terza media chiudendo la tesina sul nomadismo con una frase, «il mio viaggio non finisce qui»: la stessa scritta stava sulla maglietta che suo padre aveva indosso domenica scorsa durante la festa salvezza.

Una disgrazia assurda, la tragedia più grande, l’incubo peggiore di ogni genitore, al quale seguì un dolore composto, privato, quindi la voglia di ripartire con il calcio, grazie al calcio. «Ora nulla mi fa più paura» raccontò qualche tempo dopo. Stava per accettare la proposta del Bari in serie B. Era il novembre successivo alla tragedia. «Bisogna ripartire sempre» disse. Per gli altri tre figli, per la moglie Laura, per se stesso.

Quarantaqu­attro anni, appassiona­to di neuroscien­ze, di linguistic­a e di fisica quantistic­a, «tutta roba che infilo nel mio lavoro in panchina», osservator­e attento delle cose del mondo (la definizion­e è sua), grande lettore (ultimo libro: «L’enigma del solitario» di Jostein Gaarder), dopo esser stato un buon difensore con poca A e molta B a curriculum, noto più che altro per un celebre bacio a una poliziotta a bordo campo dopo un gol in Genoa-Atalanta, ha iniziato ad allenare nel 2010. A Lumezzane, LegaPro, dove aveva chiuso la carriera da calciatore. «Questo è un fenomeno» disse di lui il suo primo estimatore in termini temporali, Gino Corioni, che provò a portarlo al Brescia, invano.

Nella stagione prima della disgrazia Nicola era al Livorno Post virale La lettera che Davide Nicola ha voluto dedicare al figlio Alessandro, morto tre anni fa, a 14 anni. Le parole scritte su Facebook e comparse proprio sul profilo ancora aperto del ragazzo, che era calciatore nelle giovanili del Livorno, sono state condivise migliaia di volte in serie A: l’aveva portato su dalla B la stagione precedente giocando un calcio offensivo, un 3-4-3 che all’Ardenza non ha mai dimenticat­o nessuno, ma poi non era riuscito a salvarlo nella massima serie. Impresa che gli è riuscita invece stavolta, quasi all’ultimo minuto dell’ultima giornata, dopo che alla fine del girone d’andata il suo Crotone aveva messo insieme la miseria di 9 punti. Una rimonta pazzesca resa possibile dall’inspiegabi­le black out dell’Empoli a Palermo ma mai riuscita a nessuno in A. E che Nicola ha voluto dedicare proprio ad Ale attraverso una lettera postata ieri su Facebook: «Ciao amore mio, non so dove sei. Non so cosa starai facendo. Forse sei su quella nuvola che era su di me quella sera, quando correvo per far volare la tua lanterna. O forse sei qui accanto a me. Sì, sono sicuro che sei qui con me. Abbiamo lottato insieme in questo anno complicati­ssimo, ma... Oggi so che tu ci sei sempre stato lì con me. Sei riuscito con la tua energia a darmi la forza di lottare e di continuare a inseguire l’impossibil­e possibile, il possibile probabile, e il probabile certo. Ale, questa non è la mia vittoria, ma la nostra». E di una città, anzi di una regione intera, che si è meritata un altro anno in paradiso, nonostante il budget più basso di tutto il campionato e le critiche di chi era convinto che il Crotone in A non ci dovesse stare. Per lo stadio piccolo, per la squadra scarsa, per la città in fondo a tutte le classifich­e di qualità della vita. Ecco perché da uno così, uno che per tre quarti di stagione si è sentito dare (quando andava bene) dell’imbucato e (quando andava male) del fesso, t’aspetteres­ti almeno uno sfogo, un piccolo umanissimo tentativo di rivincita a parole, uno straccio di replica, una punzecchia­tura anche innocua, minima, accennata. Niente, zero. «Perché io ho sempre creduto che ce l’avremmo fatta, e poi perché le vendette non m’interessan­o. Lo sport è questo, puoi perdere e vincere ma devi sempre giocare pulito. A me il calcio ha salvato la vita, gli devo rispetto».

Sei riuscito con la tua energia a darmi la forza di lottare e di inseguire l’impossibil­e. Questa non è la mia vittoria, è la nostra

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