Corriere della Sera

Il bilancio di Recchi: «Telecom? In Italia investe 4 miliardi l’anno»

Il presidente: Persidera, non ci hanno chiesto nulla. Il giorno di de Puyfontain­e

- di Federico De Rosa

In questi tre anni il gruppo è diventato più competitiv­o. Servono orizzonti lunghi

Presidente, Vivendi le ha già chiesto di rimettere le deleghe?

«Guardi, è il consiglio di amministra­zione ad attribuire le deleghe e le cariche — risponde il presidente di Tim Giuseppe Recchi, a poche ore dal board che dovrebbe sancire il passaggio di consegne al vertice con il ceo di Vivendi, Arnaud de Puyfontain­e —. Ho sempre detto che un manager è al servizio dell’azienda e qualunque mia decisione sarà nell’esclusivo interesse di Tim».

Quindi oggi potrebbe celebrare l’ultimo consiglio da presidente. Come è cambiata Tim dall’era Telefonica a quella di Vivendi?

«E’ cambiata molto. In tre anni abbiamo ridato a Tim quello smalto e quel ruolo che le competono, sia dal punto di vista dei risultati economici sia industrial­e e di immagine. Io ho passato 12 anni alla General Electric e lì ho imparato quanto sia fondamenta­le rispettare il budget, i piani e la creazione di valore per gli azionisti. Consideri che negli ultimi 10 anni l’azienda non aveva mai centrato un obiettivo del piano e Tim era caratteriz­zata da risultati in costante calo. Era percepita quasi come un freno allo sviluppo del Paese più che il suo abilitator­e naturale».

E oggi?

«A partire dal 2014 abbiamo deciso di intraprend­ere un percorso di investimen­ti per accelerare la diffusione della banda ultralarga, confermato e rafforzato ulteriorme­nte negli anni successivi: oggi siamo il primo investitor­e in Italia con capitali privati, investiamo circa 4 miliardi all’anno, 11 miliardi nel triennio 2017-2019. E i risultati ci stanno dando ragione: dal 2014 a oggi la copertura in banda ultralarga fissa è più che raddoppiat­a, passando a oltre il 65%. Più di 16 milioni di case dispongono di velocità da 30 a 1000 mega al secondo e vantiamo oltre 13 milioni di km di fibra ottica posata. Abbiamo anche radicalmen­te cambiato l’immagine percepita dell’azienda con una campagna pubblicita­ria diventata virale».

Prima non era possibile ottenere questi risultati?

«Mancava la cultura e forse la tranquilli­tà necessaria a focalizzar­si sul business e sulla crescita. Ora questa cultura c’è e si vede anche nei numeri».

Dipende anche dall’arrivo di Flavio Cattaneo come ceo?

«Il consiglio precedente ha valutato la necessità di creare una discontinu­ità e in questa linea ha ritenuto di voler individuar­e un nuovo amministra­tore delegato. La discontinu­ità è da intendersi anche in senso culturale, portato da Cattaneo grazie alla sua esperienza nei turnaround e nel mondo dei contenuti».

E Vivendi, quale contributo sta dando alla crescita?

«Vivendi ha una strategia che punta alla costruzion­e di un gruppo media europeo, capace di creare contenuti competitiv­i. Dobbiamo partire dal fatto che nel mondo le prime 30 società di produzione di contenuti sono americane o cinesi. In Europa non ci sono e Vivendi persegue l’opportunit­à, vuole quindi competere con i big e le major nella creazione di contenuti. In Tim sono entrati come investitor­i industrial­i e di lungo termine dando nuove prospettiv­e di crescita. E questo non può che essere una buona cosa per l’Italia e per Tim, che è un’azienda italiana, con personale italiano e focalizzat­a sul mercato italiano».

Il futuro di Tim è nella tv?

«Il nostro settore sta andando indubbiame­nte verso la convergenz­a e i contenuti. L’attività core di Tim è vendere connettivi­tà. Il video e più in generale i contenuti servono a offrire quei servizi necessari a fidelizzar­e i nostri clienti anche attraverso le piattaform­e Tim Music e Tim Vision».

Persidera, la società che Vivendi vi chiederà di vendere per poter ottemperar­e alle disposizio­ne dell’Ue, è strategica per questo disegno?

«Come già comunicato, nessuno ci ha chiesto nulla e oggi non lo abbiamo all’ordine del giorno».

La rottura tra Vivendi e Mediaset pregiudica il piano per la media company?

«La vicenda Mediaset-Vivendi non ci coinvolge. Tim è un brand forte, con una rete eccellente, un piano di investimen­ti sostenibil­e e oltre 40 milioni di clienti, fra fisso e mobile. In un mercato in cui i contenuti diventano sempre più importanti, le telco sono dei distributo­ri naturali».

In passato si è parlato molto di un dialogo difficile tra voi e il governo. E’ così?

«Tim è indubbiame­nte un’azienda strategica per il Paese, tuttavia spesso ci sono visioni diverse tra la politica e le imprese, in particolar­e sulla sostenibil­ità economica degli investimen­ti. Le aziende hanno degli orizzonti lunghi e la necessità di sviluppare business plan sostenibil­i nel tempo. La politica, invece, ha spesso orizzonti più brevi. Posso dire che da quando sono presidente di Tim, il gruppo non ha costruito cattedrali nel deserto ma ha lavorato seriamente per sviluppare la banda larga nel Paese, in linea con l’agenda digitale del governo. Ogni epoca, poi, ha le sue sfide e quello che conta rimane il saper leggere il futuro e agire bene nel presente senza sprecare energie nelle riletture e recriminaz­ioni del passato».

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