Scala, stagione kolossal
Quindici titoli, inaugurazione con «Andrea Chénier» Chailly: verismo da valorizzare. Nuova opera di Kurtág
La nuova stagione della Scala è gonfia come il ventre della balena di Giona: difficile non trovare qualcosa che entusiasmi o dei dissapori. Quindici titoli d’opera (più il resto) testimoniano di una macchina efficiente, completa, «ben gestita e con i conti in ordine», ripete due volte il sindaco Giuseppe Sala prima di aggiungere obliquamente al sovrintendente: «Si può fare sempre meglio». Pereira risponde a presentazione finita: «Si può sempre fare di più; il momento in cui mi dico che sono il più grande, significa che sono il più grande asino». Il sovrintendente ricorda che «un terzo del budget Scala viene dai privati e questa è la seconda cifra più alta al mondo dopo il Metropolitan».
Una stagione intonata al Belcantismo e al «Verismo, che non è genere minore», afferma Riccardo Chailly, «bensì da valorizzare. Non ricordo gli anni da cui non si apre con il Verismo. Andrea Chénier è nato qui nel 1896 e ottenne successi; ma dal 1985 non è più tornata». Secondo alcuni critici, però, di Verismo in musica non si può nemmeno parlare, perché non esiste. La stagione inizia il 7 dicembre con l’Andrea Chénier di Umberto Giordano della coppia, sul palco e nella vita, Anna Netrebko-Yusif Eyvazov, regia di Mario Martone (come Cavalleria rusticana), scene di Margherita Palli, direzione di Chailly. Sulla scelta, conclude sibillino il direttore che festeggia i suoi 40 anni di Scala (debuttò nei Masnadieri nel gennaio del 1978), «nulla è stato indotto, è una scelta spontanea».
Una stagione kolossal, destinata a finire con «il più importante debutto mondiale» (Pereira), Fin de partie del 91enne György Kurtág, ma che vede impegnato nel secondo titolo della stagione, Die Fledermaus, l’attore comico Nino Frassica (sarà Frosch, il carceriere). Questo «Pipistrello» sarà diretto dallo specialista dei Concerti di Capodanno, Zubin Mehta: ma alla Scala non ci sarà alcun concerto di Capodanno. Dopo la ripresa del Simon Boccanegra di Chung portato in tournée a Mosca, ci sarà Orphée et Eurydice, prima in versione francese (fuori abbonamento) diretto da Mariotti, Juan Diego Flores come Orfeo. «Don Pasquale mi portò fortuna a Londra e qui manca una nuova produzione dal ‘94», ricorda Chailly. «Questa è la 70ma opera composta da Donizetti ed è un debito morale verso Rossini. Va pensata, come volle il compositore, come un’opera non solo buffa e sempre contemporanea». Nel recupero italianistico s’iscrive anche la Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai, assente dal ’59, nuova produzione diretta da Fabio Luisi con regia di David Pountney. Ben venga un omaggio a Zeffirelli per i 95 anni: lo si festeggia con un’archeologica Aida: la sua regia del ‘63, costumi della De Nobili, sul podio Nello Santi. Segue Fierra- bras, un’operina di Schubert (l’unica) che viene da Salisburgo: la porta Daniel Harding con regia (classica) di Peter Stein; giusto conoscerla. Segue la ripresa di Fidelio con Chung e poi di nuovo Belcanto con Il pirata di Bellini (direttore Riccardo Frizza) con regia di Christof Loy: domani esordio al Festival di Salisburgo per il suo Ariodante. Passiamo all’autunno. L’ultima opera di Cherubini, Alì Babà e i quaranta ladroni, è stata scelta per Progetto Accademia: Liliana Cavani lavorerà con i giovani della scuola. Botti finali con Ernani, nuova produzione diretta
Obiettivi Il sindaco Sala: si può fare sempre meglio. Il sovrintendente Pereira: anche di più
da Adam Fischer, quindi La finta giardiniera di Mozart su strumenti antichi (come quest’anno Tamerlano), proveniente da Glyndebourne, diretta da Fasolis e interpretata da voci impegnate in questi giorni nel Don Giovanni. Si ripresenta Elektra di Chéreau (epoca Lissner) con direzione di Dohnányi e, infine Kurtág con Fin de partie: «Più di due ore, con scene dal finale dell’opera di Beckett», racconta Pereira. Che, a bocca chiusa, lascia intendere la prima del 7 dicembre 2018: l’edizione francese dei Vespri siciliani.