Insegne al neon per il pescatore «Peter Grimes»
Chi è il vero mostro, nel Peter Grimes di Benjamin Britten? La tragedia del rude pescatore, al quale, in dubbie circostanze, muoiono prima uno, poi un altro mozzo, nella nuova edizione al Comunale di Bologna si snoda in un limbo spietato, tra casette di legno chiarissimo, in levigata desolazione. Senza vero guadagno, l’azione è trasferita dall’800 al ‘900 di Britten: con sguaiate insegne al neon, rosse e verdi, i personaggi secondari fin troppo caricati, le «nipotine» in pose procaci, e cerebrali inserti video come distorsioni del reale, che ben poco aggiungono.
Chiarore e levigatezza sono invece il modo in cui il direttore, Juraj Valcuha, esalta, più che il senso atmosferico (i Sea Interludes), il nitore delle linee musicali, l’intreccio dei duetti e delle polifonie, una per tutte l’irresistibile «Old Joe has gone fishing», mai feroce: allo stesso modo in cui Grimes non è qui l’orco che tutti additano. Il tenore Ian Storey acquerella il protagonista con acuti sussurrati e «sofferenti»: è un Grimes vittima, fragile nel sogno come nella rinuncia; e a suo modo paterno, persino quando strappa al calore della taverna il piccolo mozzo fradicio e atterrito o quando lo fa scendere dalla scogliera fatale. Così Charlotte-Ann Shipley, Ellen luminosa anche nella disperazione; e il Balstrode di Mark Doss, nobile e accorato.
Ma tutt’attorno a loro si stringe, ed è l’elemento più vivo nella regia di Cesare Lievi, un inquietante coro-branco: un’unica creatura, che solo contro Grimes si compatta e si muove con gesti rituali, ondeggia, insegue, lancia accuse ipocrite, condanna. Questo sì, un vero mostro.