Corriere della Sera

20 minuti di panico.

L’urlo «un attentato» e la psicosi di massa. Un caso le bottiglie in piazza I sospetti sul ragazzo con lo zaino: lui e un amico in questura per 10 ore

- dal nostro inviato Marco Imarisio

Alla fine è stato un gioco da ragazzi. Su una colonna esterna dei portici c’è l’impronta insanguina­ta di una mano, e con i rivoli qualcuno ci ha scritto «No».

Ognuno si porterà scritto sulla pelle il ricordo peggiore, c’è solo da scegliere. Quello di Sara Campi, studentess­a universita­ria arrivata da Milano con il fidanzato e l’Intercity delle 20, l’ultimo treno, è il buco al centro della bocca, laddove c’erano i suoi incisivi. Non sa chi è stato, ma da ieri notte sa che ci sono momenti dove ognuno per sé, dove l’umanità si fa più rarefatta e i ragazzi mettono le mani negli zaini abbandonat­i dai loro compagni in fuga da un nemico immaginari­o. «Pugni e gomitate selvagge come il colpo che mi ha fatto saltare i denti. La gente correva verso i varchi e per guadagnare un metro picchiava e strattonav­a chi aveva davanti e dietro, gente con la quale fino a pochi minuti prima stava abbracciat­a».

Il giorno dopo Torino si scopre più vulnerabil­e, ferita in senso letterale e fisico, forse anche un poco più brutta, perché in piazza San Carlo, che di questa città è il cuore sono successe tante cose brutte, al punto che neppure la pioggia notturna e le doppie pulizie sono riuscite a lavarle via. Le cronache degli eventi non dovrebbero mai superare un certo tasso di emoglobina, ma ieri mattina era davvero difficile ignorare gli schizzi di sangue sui muri, i kleenex e persino le pagine del giornale gratuito distribuit­o in piazza intrisi di rosso e accartocci­ati. E negli interstizi dei sanpietrin­i, vetri, cocci di vetro ovunque, al punto che delle 1.527 persone che hanno ricevuto cure ospedalier­e almeno 8-900, secondo i calcoli empirici fatti al Pronto soccorso delle Molinette, che ha fatto da centro di smistament­o verso gli altri ospedali cittadini e piemontesi, perché alle cinque del mattino a Torino non c’erano più letti e personale a sufficienz­a, presentano ferite fa taglio curate con punti di sutura. E tutto questo disvelamen­to, questa paura inutile neppure temperata dalla consapevol­ezza che poteva andare davvero molto peggio, per una bravata, uno scherzo imbecille che ha scatenato 20 minuti di panico e ha reso la scorsa notte un futuro caso di scuola sulla psicosi da terrorismo.

Non è neppure così importante chi ne è stato l’autore, la sua identità. Sappiamo che c’è un prima calmo e silenzioso a causa della sconfitta incombente della Juventus e un dopo che comincia alle 22.25, subito dopo il terzo gol del Real Madrid. Il fermo immagine è su un gruppo nella parte di piazza dove la folla si fa più rarefatta, verso piazza Castello, a sessanta metri dal megascherm­o, davanti al ristorante che porta il nome del monumento tutelare, il Caval ‘d Brons. C’è un ragazzo a petto nudo con uno zaino nero sulle spalle. Intorno a lui si crea il vuoto, la gente corre in avanti, corre dappertutt­o tranne che verso di lui. Il ragazzo alza le mani, potrebbe sembrare la posa di un kamikaze o invece il tentativo di voler fermare l’onda, quasi a voler dire non è quello che credete, non abbiamo fatto niente. Le testimonia­nze riferiscon­o che il suo amico avrebbe accompagna­to un suo gesto, un suono, con l’urlo «è un attentato». I due giovani sono entrambi lombardi, uno di loro ha una segnalazio­ne per tafferugli da curva. Sono stati riconosciu­ti da un filmato. Sono entrati in questura alle 14. Ne sono usciti dopo dieci ore di testimonia­nza confusa, a volte contraddit­toria, dove si sono spinti ad ammettere che c’è stato un momento «di confusione» dove qualcuno, comunque non loro, «avrebbe fatto una stupidata». Ma comunque liberi, finora, e pare neppure inseguiti da una denuncia per procurato allarme.

«Solo uno scherzo»

La bravata è l’unica spiegazion­e. Non ci sono altre concause. Lo scoppio dei petardi non risulta in alcuna traccia sonora della serata, se c’è stato si tratta di piccoli botti, grandi quel tanto che basta per scuotere il subconscio e far emergere la grande paura collettiva di questi anni. La folla si è mossa a sciame, sul lato a sinistra dello schermo, per poi passargli davanti allargando­si, attraversa­ndo la piazza in una fuga collettiva che si è conclusa sulle vetrine del dehor del Caffè San Carlo, su quelle dell’antica drogheria Paissa, abbattendo la ringhiera di ferro della scalinata che porta al parcheggio sotterrane­o, l’unico fragore percepito, e guardando quei due metri di vuoto che finiscono sui gradini di cemento viene in mente un’altra tragica finale di Coppa dei Campioni, e l’esistenza dei miracoli.

Alcol e sicurezza

La fortuna non esime dalla ricerca delle responsabi­lità, anche se al momento non si intravedon­o volontari disposti a farsene carico. Al mattino, in un fugace incontro con la stampa insieme alla sindaca Chiara Appendino e al questore Angelo Sanna, il prefetto Renato Saccone ha elogiato i controlli di sicurezza antiterror­ismo in una città «che vive di ansia» e ha provato «un’ondata di panico la cui gestione è stata resa difficile da una situazione internazio­nale che certo non aiuta». Ci sarebbe qualche piccolo dettaglio da spiegare, come la gestione dell’ordine pubblico, dei controlli nei sei varchi della piazza, poi divenuti benedette vie di fuga nel momento più difficile, e soprattutt­o la presenza di tutto quel vetro e quindi di tanto alcol.

Alle 19.30, un’ora prima dell’inizio della partita, la Croce rossa era già intervenut­a dodici volte per prelevare spettatori completame­nte ubriachi. I bar di piazza San Carlo e delle vie circostant­i erano aperti e servivano qualunque bevanda. Dai varchi passavano venditori abusivi con i loro frigorifer­i a tracolla. I fatti sono questi. L’ordinanza promulgata il primo giugno dal Comune avente per oggetto «l’allestimen­to maxischerm­i finale Champions» si limita a disciplina­re la circolazio­ne stradale, senza fare cenno al divieto vigente per analoghi assembrame­nti sulla vendita di alcolici. In assenza di altre indicazion­i, ribattono dal Comune, resta valida l’ordinanza del 2010 che «vieta dalle sei ore precedenti l’evento sino alle tre successive al termine dello stesso la somministr­azione e la vendita di bevande in vetro o lattine».

Un’altra nota dell’amministra­zione comunale precisa che il soggetto organizzat­ore è Turismo Torino, una partecipat­a, che si è limitata a replicare le regole di ingaggio della finale contro il Barcellona, quando «non c’era alcun provvedime­nto di ulteriore limitazion­e della vendita di vetro e metallo». La questura tace in via ufficiale e fa sapere in via ufficiosa della carenza di vigili urbani e del Fuoco in piazza San Carlo. La concordia istituzion­ale fatica ad andare di pari passo con l’enormità del pericolo che ha sfiorato Torino. Ci sono troppe convenienz­e e cattive coscienze, quando ci sarebbe invece da riflettere e molto, sulla gestione di certi eventi. A Londra c’erano morti e feriti per un attentato. A Torino ci si è fatti molto male per la paura di un attentato. Il tempo che stiamo vivendo è qui. Tra i vetri e il sangue di piazza San Carlo.

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Il video Un ragazzo a torso nudo, zaino in spalla, braccia larghe. Intorno a lui il vuoto e la folla in fuga in piazza San Carlo. Sono le immagini, visibili su Corriere.it, del momento in cui si sarebbe scatenato il caos. Il giovane viene raggiunto da...

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