Corriere della Sera

La necessità di osare

- Di Franco Cordelli

Nelle conversazi­oni sul teatro, anche tra critici, e a maggior ragione con spettatori tra i più fedeli, è pura fatica ciò che mezzo secolo fa era normale. Come chiamare il teatro che tanti non riconoscer­ebbero immediatam­ente come tale? Teatro di sperimenta­zione? D’avanguardi­a? Alternativ­o? Ma alternativ­o a cosa? Nessuna di queste dizioni è più pronunciab­ile, sono anzi proibite, pena l’essere considerat­i nostalgici o culturalme­nte arretrati. È forse accettata la formula «teatro di ricerca»: è la più neutra, indolore. Ma solo l’aver scritto indolore, molto ci dice non sulla pericolosi­tà della formula (o meglio del concetto, della cosa) ma sulla sua necessità. Non è necessario il teatro, esso bene o male c’è. C’è perfino in Italia, senza una legge che abbia validità e rigore. E in un contesto evanescent­e, e in una realtà che va rapidament­e degradando­si, c’è perfino un teatro di ricerca. Ma cos’è tale teatro? Quali basi culturali esso possiede e rivela? Chiunque oggi esca dagli schemi del teatro tradiziona­le osa — più di quanto si osasse negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Mette in gioco la sua sopravvive­nza come artista e, prima di tutto, la sua riconoscib­ilità, il suo valore: essere sceso in campo senza rete di protezione — del già visto, del già detto, del già conosciuto.

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