LO SPIETATO MERCURIO DEL CALCIO
Ogni volta che succede un «caso Donnarumma» si grida alla morte del calcio e si cerca il killer: da noi è facile trovarlo in Mino Raiola. Lo spietato, il barbaro, il malvestito Raiola. Il calcio romantico (fede, passione, attaccamento ai colori) forse è morto. Forse no, forse si è solo assopito, giusto il tempo per permettere ai procuratori di arricchirsi con la compravendita dei giocatori. I greci chiamavano prosseneta l’intermediario, quello che combinava matrimoni (il verbo prokseneo significa ospitare, procurare).
Il calcio mondiale è in mano ai procuratori. I tre più famosi si chiamano Jorge Mendes (cura gli interessi di Ronaldo), Jonathan Barnett (Gareth Bale) e, appunto, Raiola (Pogba, Balotelli). Il loro sistema di lavoro è semplice: curano gli interessi di giocatori, possibilmente bravi, trattano gli ingaggi facendo loro cambiare squadra, incassano la percentuale, fatturano cifre spropositate. Il resto non conta.
I nemici hanno paragonato Raiola a Peter Clemenza del «Padrino» o a Tony Soprano. Lo hanno definito «pizzaiolo chiacchierone» (il padre aveva una pizzeria in Olanda), «mafioso». Lui se ne frega, il suo scopo è «fregare» gli altri. Donnarumma per lui ha solo un valore commerciale. Non simbolico, come per i tifosi.
Mercurio, il dio del business, era anche il dio dei bugiardi e dei maestri dell’inganno. Coincidenze mitologiche.