Corriere della Sera

Colnago e le sue bici «Ho fatto pedalare Wojtyla e Merckx»

- Di Riccardo Bruno

accanto». Quando decise di mettersi in proprio?

«Avevo vent’anni, correvo in bicicletta. Alla Milano-Busseto caddi e mi ruppi il perone della gamba destra. Non potevo muovermi, così mi feci mandare a casa le ruote da montare. Ero veloce, in cinque giorni guadagnai quanto in un mese. Decisi di aprire la mia prima bottega, una stanzetta di 5 metri quadrati». Poi un giorno incontrò Fiorenzo Magni, il «Leone delle Fiandre».

«Me lo presentò un amico, uscimmo a pedalare assieme. Lui si lamentava che da qualche giorno gli faceva male una gamba. Io guardai la sua bici e mi accorsi che la pedivella non era in asse. Gliela misi a posto, gli passò il dolore e mi offrì di seguirlo al Giro d’Italia, come vice del suo meccanico di fiducia Faliero Masi». I suoi genitori si saranno ricreduti?

«Si aspettavan­o che tornassi con qualche soldo. Portai a casa solo un pacco di caramelle e delle marmellate». Il ciclismo oggi è cambiato...

«Anche troppo. I corridori sono troppo viziati, hanno quattro bici a testa più quella per la cronometro. Una volta soltanto il capitano ne aveva un paio. Non m’illudo certo di fermare il mondo, ma credo che sia arrivato il momento che tutti facciano un passo indietro». Che cosa non le piace?

«Nelle bici si cerca solo la leggerezza, devono pesare sempre meno. Io lo ripeto a tutti, rendiamoci conto di dove stiamo andando. La sicurezza viene prima di ogni altra cosa, dobbiamo costruire mezzi con cui si può andare e tornare a casa. Il telaio è il cuore, l’anima, deve essere solido, resistente, non può pesare meno di un chilo. E deve essere quello giusto per il tuo corpo. È come un paio di scarpe di cuoio, bisogna scegliere quelle adatte ai tuoi piedi e loro si adattano. Se fai il contrario ti ritrovi a zoppicare». Lei ha inventato il telaio in carbonio.

«Tutti mi dicevano: cosa stai facendo? Si spezzerà». E invece?

«E invece realizzai la bici di Franco Ballerini che nel 1995 vinse la Parigi-Roubaix, la corsa sul pavé. Adesso tutti vogliono il carbonio, ma pochi sanno che è come il vino: è nero, ma non è tutto uguale».

A questo punto Colnago si alza e va a prendere due tubi in carbonio. «Mi sa dire qual è il migliore?» chiede. All’apparenza sono identici.

«Li tocchi anche all’interno». In effetti non sono uguali, uno è morbido e l’altro rugoso. «Il carbonio deve essere bello dentro e fuori» dice, come un maestro che svela la risposta corretta. Poi li scaraventa con violenza a terra, uno dopo l’altro. Il primo fa un suono sordo, composto, l’altro un sibilo fastidioso. «Ha sentito? Il carbonio buono canta...». Enzo Ferrari fu il primo a darle fiducia.

«Andai da lui grazie all’ingegnere Mauro Forghieri. Gli spiegai che volevo utilizzare per le biciclette i materiali della Formula Uno. A un certo punto lui, che aveva 88 anni, mi chiese quanti ne avevo io. Gli dissi: ne ho già 54. Fece una pausa e poi: “Vergognati! Io a quell’età ho iniziato a fare le cose più belle”». Così è nata la Concept, capolavoro di design e avanguardi­a.

«Grazie a Ferrari ho anche iniziato a costruire la forcella diritta. Fino ad allora eravamo convinti che quella curva ammortizza­sse meglio. Lui mi portò nei laboratori dove si progettava con l’aiuto del computer, per me era una cosa straordina­ria. E mi dimostrò che aveva ragione».

Ancora una volta, fece cambiare rotta al mondo delle due ruote. Come a vent’anni, quando iniziò a piegare le forcelle a freddo. E ancora adesso con i freni a disco, è stato lei il primo a intuire che potevano andare bene su una bici da corsa.

«Sicurament­e danno una sicurezza maggiore nella frenata. Però è giusto che li usino tutti, oppure nessuno».

Le sue bici hanno vinto 61 campionati del mondo, 11 olimpiadi, 18 coppe del mondo, 21 grandi corse a tappe. Il primo fu Gastone Nencini, Giro d’Italia del 1957. E poi Gianni Motta, Michele Dancelli, Giovanbatt­ista Baronchell­i, Beppe Saronni, Joop Zoetemelk... A chi si sente più legato? «Non voglio fare torto a nessuno. È come se fossero tutti miei figli».

Ed Eddy Merckx?

«Feci per lui la bicicletta del record dell’ora a Citta del Messico nel 1972. A furia di limare e fare buchi alla fine pesava 5 chili e 750 grammi...». Com’era il «cannibale»?

«Mi ricordo che alla vigilia del campionato del mondo a Mendrisio mi chiamò: “Padrun, ho bisogno del suo aiuto”. Teneva le bici in albergo dentro un termosifon­e, per separarle una dall’altra. Tirandole, una si era danneggiat­a. La-

vorai fino a mezzanotte. Il giorno dopo vinse davanti a Felice Gimondi. Io festeggiav­o l’anniversar­io di matrimonio, lui lo sapeva, l’indomani si presentò a casa nostra a Cambiago con un mazzo di fiori». Sua moglie Vincenzina è scomparsa da poco.

«Siamo stati sposati per sessant’anni. È stata una donna straordina­ria, mi ha dato i consigli giusti restando sempre un passo indietro. Se ho realizzato tutto questo è grazie anche alla sua presenza, la metà appartiene a lei». Anche il Papa è salito su una sua bici.

«Sapevo che Giovanni Paolo II a Cracovia faceva una quarantina di chilometri due volte alla settimana. Realizzai per lui una bici da corsa laminata in oro, ma quando gliela consegnai mi spiegò che da Pontefice non poteva andarci. Allora tornai in fabbrica e ne preparai una più turistica. La utilizzò a Castel Gandolfo». La prima bicicletta che ha venduto?

«Non mi ricordo a chi. Il prezzo era 300 lire». Il segreto del suo successo?

«Fare le cose con amore, e con pazienza. Ogni bicicletta che realizzo la devo guardare e poter dire: era giusto farla proprio così». Il suo maestro?

«Ho imparato tanto da Fiorenzo Magni. Ripeteva che per comparire bisogna soffrire. Mi ricordo che al mio primo Giro d’Italia ero sull’ammiraglia, una 1100 con un telone al posto del tetto. Stavamo salendo sul monte Penice, pioveva a dirotto, Magni ci cercava da dieci minuti ma noi non lo vedevamo. Si stava giocando la tappa e il Giro con Coppi e Bartali, quando ci vide era furibondo. Sollevò il telone e gridò: “Mi sono bagnato io, ora vi bagnate voi”. L’acqua ci arrivava ai polpacci, presi un cacciavite e bucai il pianale per farla uscire. Allora andava così, non dico che era meglio, ma sicurament­e imparavi presto a crescere». Le hanno mai chiesto di entrare in politica?

«Una volta mi proposero di fare il sindaco del mio paese». Perché ha rifiutato?

«A me piace dire la verità alla gente».

Un consiglio che si sente di dare a suo nipote Alessandro, il figlio di sua figlia Anna, la nuova generazion­e in azienda.

«La continuità della serietà. Alla gente non bisogna raccontare frottole. Le biciclette le trovi ovunque, ma quelle belle le fanno in pochi».

Il telaio in carbonio Andai da Enzo Ferrari e gli spiegai che volevo utilizzare per le biciclette i materiali della Formula Uno. Mi disse: «Hai già 54 anni? Io a quell’età feci le cose più belle»

Il senso della misura Oggi i corridori hanno 4 bici a testa più quella per la crono. Una volta solo il capitano ne aveva due Non m’illudo di fermare il mondo, ma è ora di fare un passo indietro

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1971 Eddy Merckx ed Ernesto Colnago alla Milano-Sanremo

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