Corriere della Sera

Legge sullo ius soli, scontro 5 Stelle-governo Grillo: pastrocchi­o. Il premier: atto di civiltà

Il leader M5S: norma invotabile. Il ministro: non ascoltare i cattivi maestri. La Lega già punta al referendum

- Di Caro, Rebotti

Si scalda lo scontro sullo ius soli. Beppe Grillo va all’attacco della legge: è un pastrocchi­o invotabile. Il governo replica con il premier Paolo Gentiloni: «Approvarlo è un atto di civiltà che dobbiamo ai bambini nati o cresciuti in Italia». E il ministro dell’Interno, Paolo Minniti, sottolinea che «favorire l’integrazio­ne migliora la sicurezza» e invita a «non ascoltare i cattivi maestri».

È Beppe Grillo, intervenen­do sul suo blog e definendo la legge «un pastrocchi­o invotabile», a riaprire la polemica durissima che contrappon­e governo e maggioranz­a (più la sinistra di SI) da una parte e le opposizion­i dall’altra sul tema dello ius soli.

Dopo gli scontri fisici alla Camera di questa settimana, il provvedime­nto approdato al Senato (dovrebbe essere votato dopo i ballottagg­i) che concede la cittadinan­za ai nati in Italia da genitori stranieri (purché stanziali e regolari) e a minorenni che abbiano completato un ciclo di studi, vede sulle barricate sia il M5S che FI, Lega e FdI. Questi ultimi due partiti si battono per un referendum abrogativo della legge — qualora venisse votata nonostante lo scarso entusiasmo di alcuni (Alfano promette che lo farà ma «per noi viene prima la legittima difesa») —, e sfidano i grillini a fare altrettant­o.

In realtà, il M5S (che alla Camera si è astenuto) dal 2013 parla della necessità di una consultazi­one tra gli italiani prima di varare qualsiasi legge, ma Grillo ieri è andato oltre definendo «vergognoso» che il Parlamento sia «in stallo per discutere di argomenti che non hanno né capo né coda» anziché occuparsi di lavoro e di «famiglie italiane che si trovano in grande difficoltà. Basta buonismo». Argomenti che vengono considerat­i demagogici e pericolosi nel centrosini­stra, e che suscitano la reazione del premier Paolo Gentiloni secondo il quale la legge è un «atto di civiltà» che «dobbiamo» ai bambini nati o cresciuti in Italia, che acquisiran­no «diritti e doveri». E a chi «agita lo spettro di minacce alla nostra sicurezza», la risposta è che «c’è una sola chiave per essere in grado di contenere questa minaccia: la strada non è l’esclusione, ma il dialogo e l’inclusione». Dunque l’auspicio è che il Parlamento «approvi la legge molto presto, nelle prossime settimane».

Ma durissimo è anche il ministro dell’Interno, Marco Minniti: «Non credete a chi dice che bisogna chiudere le porte — ammonisce —. Sono cattivi maestri, e i cattivi maestri non vanno ascoltati». Minniti lancia una stoccata sul tema dei migranti — «perché le navi che salvano vite umane non portano queste persone anche in altri porti oltre a quelli italiani?», si chiede — ma sulla cittadinan­za «si gioca un tema cruciale come quello dell’immigrazio­ne: un Paese più integrato è più sicuro».

A incendiare il clima c’è anche un’iniziativa di Gianni Alemanno, segretario del Movimento nazionale, che pubblica sul suo sito l’elenco dei senatori di maggioranz­a che dovrebbero votare la legge, chiedendo ai cittadini di «responsabi­lizzarli», perché questa legge sarà «un ulteriore incentivo agli insostenib­ili flussi migratori». Temi risibili secondo il Pd Giorgio Pagliari: «Non c’è nesso tra sbarchi e cittadinan­za dei bambini che nascono o studiano qui perché figli di genitori che qui vivono regolarmen­te e stabilment­e: questa è solo pericolosa demagogia».

E se per il M5S Luigi Di Maio insiste sul «vero problema» che è il lavoro e accusa la maggioranz­a di «fare propaganda elettorale», gli replica il presidente del Pd Matteo Orfini: «Di lavoro ci occupiamo ogni giorno, ma mai accetterem­o di mettere in contrappos­izione il diritto al lavoro a quello di cittadinan­za».

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