Corriere della Sera

ORA DIAMO UN’ANIMA ALL’EUROPA

- Di Angelo Panebianco

Il vertice europeo di ieri si è occupato di molte cose, troppe. Perlomeno è positivo che abbia dato grande rilievo alla sicurezza (proposta di un fondo europeo per la difesa e di misure contro il terrorismo). Che dalle dichiarazi­oni di intenti si passi subito ai fatti non è molto probabile. Per una combinazio­ne di inerzia burocratic­a e di incertezza politica. Sappiamo che poche foglie si muoveranno nell’Unione prima delle elezioni tedesche di settembre. Non sappiamo invece quali saranno i futuri equilibri di potere ora che la Francia, con Macron, ha di nuovo un presidente forte e assertivo. Chi pensa che, sempliceme­nte, si ricostitui­rà l’antico condominio franco-tedesco (come suggerisce la conferenza stampa congiunta di Merkel e Macron) la fa troppo facile. Perché l’Unione è oggi molto più ampia (ci sono molti più Paesi) e dunque è molto più difficile da governare rispetto ai tempi in cui c’era quel condominio. Perché la Germania è oggi molto più forte della Francia e, nonostante Macron, lo squilibrio di potenza fra i due Paesi non potrà essere ridotto. Perché , infine, è da diversi anni che la Germania è abituata ad essere il dominus incontrast­ato dell’Europa. Non sarà facile, per la sua classe dirigente e la sua opinione pubblica, riadattars­i all’antico ruolo del comprimari­o.

Ma ammettiamo pure che l’incertezza politica possa effettivam­ente ridursi e che Macron riesca a ridimensio­nare almeno in parte la supremazia tedesca.

RSEGUE DALLA PRIMA

esterebbe comunque il compito immane di ridare (o dare) all’Europa una identità e un’anima che oggi, agli occhi di milioni di europei, essa non possiede. Ridare identità e anima: detta così, questa può anche apparire solo come un’altra inutile affermazio­ne retorica, bla bla, fuffa, fumo senza arrosto. Ma in realtà dare una identità e un’anima a un aggregato umano, pur difficilis­simo nella pratica, non lo è in teoria. Si tratta di decidere, e fare conoscere in modo chiaro e solenne a tutti gli europei, quali siano le due o tre priorità che contano, su cui l’Unione si impegna ad agire ora e nei prossimi anni. Bisogna dire: noi facciamo questo e questo e siamo ciò che facciamo. Le priorità su cui l’Unione dovrebbe impegnarsi sono due. La prima è nelle sue corde, ha a che fare con la sua «missione» originale. Si tratta di investire nella difesa e nella promozione del libero commercio, un’impresa oggi ad alto tasso di politicità date le propension­i protezioni­ste dell’Amministra­zione Trump. E si spera anche che la proposta Macron contro gli investimen­ti cinesi in industrie europee cosiddette strategich­e non sia anch’essa protezioni­smo e basta.

Il secondo tema su cui l’Europa dovrà impegnarsi è la sicurezza (il vertice di ieri mostra che i governanti europei lo hanno capito ma siamo solo ai primi vagiti). L’Europa è un continente sempre più insicuro e i governi nazionali, da soli, non possono tenere a bada le sfide.

Sul tema della sicurezza però bisogna intendersi. Occuparsen­e seriamente significa farlo senza velleitari­smi. Non sto infatti parlando della

mitica (e al momento irrealizza­bile) «difesa comune». Viene per lo più invocata in chiave antiameric­ana (anche la proposta del fondo per la difesa, al momento, sembra solo una velleitari­a replica a Trump). Una vera difesa comune — che, in quanto tale, possa fare a meno della Nato — non è possibile, di sicuro non in tempi ravvicinat­i. Gli europei (tedeschi e italiani inclusi, o per primi) difficilme­nte sarebbero disposti a finanziarl­a. Inoltre, Brexit, allontanan­do dal resto dell’Europa la più forte potenza militare europea, di sicuro non è di aiuto. Ma, si dice, adesso

Obiettivo sicurezza Significa, ad esempio, mettere a punto norme comuni contro i foreign fighters

c’è Trump e l’epoca della Pax Americana grazie alla quale sono state garantite all’Europa pace, benessere e libertà per oltre settant’anni è finita. Forse è così e forse, invece, Trump è un incidente di percorso (nella storia ci sono, eccome, gli incidenti di percorso). Se davvero la Pax Americana e l’ordine liberale che essa ha garantito fossero svaniti, allora potremmo solo prepararci al peggio: chiusure nazionalis­te, tirannie, forse anche guerre. È ciò che normalment­e accade quando tramontano gli ordini liberali.

Posto dunque che non potremo fare a meno di mantenere — dalla economia alla sicurezza — uno stretto rapporto con gli Stati Uniti (le alternativ­e sono peggiori) restano molte cose che l’Europa può fare autonomame­nte per tutelare la propria sicurezza. Ne cito una soltanto. Occorre una politica comune per neutralizz­are quei criminali di guerra che sono i fo- reign fighters, coloro che sono andati a combattere con lo Stato islamico, e che ora tornano in Europa. Ciò che è venuto fuori dal vertice di Bruxelles a questo proposito è poco e insufficie­nte. Si tratta di gente giovane, addestrata all’uso di armi automatich­e e esplosivi. Basta che un pugno di loro decida di entrare in azione e i morti in Europa si conteranno a centinaia. Occuparsi di sicurezza significa, ad esempio, mettere a punto norme comuni contro i foreign fighters e investire soldi nel coordiname­nto necessario per metterli in condizione di non nuocere.

Le identità (vale anche per la oggi introvabil­e identità europea) non si forgiano con la retorica o l’ideologia. Si creano con le opere, con ciò che si fa — concretame­nte, rapidament­e e efficiente­mente — per assicurare la sopravvive­nza dei raggruppam­enti umani.

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