La scelta defilata di Renzi: voto locale e non politico ma lo useranno contro di me
«È un voto locale, non è un voto politico»: è questa la frase che Matteo Renzi, in vacanza con la famiglia, dopo gli esami di terza media di uno dei suoi tre figli, ha ripetuto più spesso al telefono con i suoi luogotenenti. Ed è proprio per non politicizzare oltre il dovuto i ballottaggi che in questi giorni il segretario è scomparso dai radar e non ha fatto campagna elettorale. Solo qualche video, inviato ieri per i comizi finali.
Non è la prima volta che Renzi non partecipa attivamente a questa fase delle elezioni. Ma ora ha qualche motivo in più per tenersi defilato. Da una parte, c’è il tentativo di evitare di dare un profilo politico al voto perché questo potrebbe indurre l’elettorato grillino a votare per i candidati del centrodestra. Dall’altra, c’è il fatto che gli aspiranti sindaci del centrosinistra, per la maggior parte non sono renziani ma appartengono alla precedente gestione del Pd o alla sinistra fuori del partito. A Genova, Parma e La Spezia, per esempio, è così. Mentre a L’Aquila e a Padova i candidati fanno riferimento al segretario e, soprattutto nella città abruzzese il leader del Pd punta a vincere.
Ma Renzi e i suoi temono che la minoranza interna giochi contro. «Il congresso è già bello che finito, loro hanno perso, io ho chiesto di lavorare tutti insieme, però mi pare che invece preferiscano tenerlo aperto all’infinito», si è lasciato sfuggire il segretario in un momento di amarezza con uno dei fedelissimi.
Renzi dà per scontato che il giorno dopo i ballottaggi, se il risultato elettorale dovesse essere molto deludente, giornali e tv gli daranno la croce addosso. E la possibilità che questo sia lo scenario post elettorale è alta: come scrive l’Istituto Cattaneo i ballottaggi potrebbero «intaccare o ridurre significativamente il dominio del centrosinistra» anche nelle regioni cosidette regioni rosse.
Già, Renzi sa bene che un’eventuale sconfitta del centrosinistra, che dovrebbe riguardare tutti i partiti vecchi e nuovi di quell’area (visto che in molti comuni il Pd si presenta insieme a Mdp o ad altre sigle di sinistra) verrà messa tutta in carico a lui, anche da chi, in queste elezioni, ha corso con il Partito democratico. «E noi dobbiamo scombinare i piani di chi punta a questo obiettivo», dicono al Nazareno.
Ciò che più preoccupa i renziani non è tanto l’atteggiamento della sinistra che è
fuori dal Pd. Che va dato per scontato, soprattutto dopo l’annuncio di Pisapia, che ha rilasciato un’intervista al Quotidiano nazionale per ribadire che preferisce Bersani e D’Alema a Renzi. «A sinistra in realtà sono super divisi, ma si uniscono contro di me», è la constatazione del segretario.
Ma ciò che preoccupa lo stato maggiore del Pd è l’atteggiamento di Andrea Orlando, Gianni Cuperlo e soci. Il ministro della Giustizia chiede nuove primarie per la leadership del centrosinistra, organizza per il 27 una sua kermesse a Roma (ha già un nome per la sua corrente: «Demos») e annuncia di voler andare da Pisapia il primo luglio, anche a costo di sfidare i fischi di una platea contrarissima alla sua (e di Minniti) legge sugli immigrati.
Renzi, intanto, studia le contromosse e organizza un’assemblea dei circoli a Milano proprio in contemporanea con l’iniziativa di Pisapia per rilanciare la vocazione maggioritaria del Pd.