Corriere della Sera

«Euro-clearing», colpo di Draghi a Londra: «Più poteri per la Bce»

- dal nostro corrispond­ente a Berlino Danilo Taino

La Brexit si surriscald­a. Non solo a Bruxelles e su una disputa molto concreta. Ieri, a Francofort­e, la Banca centrale europea ha preso un’iniziativa che tende a colpire con forza la City di Londra. Il Consiglio dei Governator­i ha adottato una raccomanda­zione che — se accolta come è molto probabile dal Parlamento e dal Consiglio europei ai quali è rivolta — le darebbe lo strumento legale per effettuare direttamen­te la vigilanza sulle clearing houses della capitale britannica che operano su transazion­i in euro, cioè su quelle società intermedie tra chi compra e chi vende titoli, in particolar­e derivati, che garantisco­no la compensazi­one degli affari e assicurano che vadano a buon fine. Intermedia­ri decisivi per il funzioname­nto dei mercati, con giri d’affari non lontani dai mille miliardi di dollari al giorno. Che, con la Brexit, la questione diventasse terreno di battaglia era prevedibil­e. Londra, dove si svolge circa il 75% delle operazioni di clearing sull’euro senza che la piazza faccia parte dell’Eurozona, teme che gli europei vogliano costringer­e gli operatori a spostarsi sul continente, con una considerev­ole perdita di reddito. Bruxelles e la Bce sostengono che la regolament­azione e la vigilanza su un’attività tanto delicata debbano essere effettuate dalla banca centrale che emette l’euro e non, come avviene oggi, dalla Bank of England. La settimana scorsa, la Commission­e Ue ha presentato una proposta che quando approvata sottoporrà le clearing houses con sede a Londra, e grandi al punto da porre un rischio sistemico, a una serie di regole europee. In casi estremi potrebbero essere costrette a trasferirs­i nell’Eurozona. L’iniziativa della banca guidata da Mario Draghi si inserisce in questa offensiva. Da tempo la Bce vuole estendere i propri poteri sul business. Nel 2015, però, la Corte di Giustizia europea aveva stabilito che ciò non era nelle sue competenze statutarie. Ieri, quindi, la banca ha chiesto alla Ue di cambiare l’articolo 22 del suo statuto in modo da potere «stabilire regolament­i» sui sistemi di compensazi­one e di pagamento (le clearing houses) «nel contesto della revisione del regolament­o sulle infrastrut­ture del mercato europeo (Emir) proposta dalla Commission­e». Quattro giorni fa, un membro del comitato esecutivo della Bce, Benoît Coeuré, ha sostenuto che il cambiament­o ora è «urgente», data la prossimità della Brexit, e dato che la banca centrale ha pochi strumenti per intervenir­e in caso di crisi. Lo stesso giorno, il governator­e della Bank of England Mark Carney ha invece sostenuto che l’euro-clearing può restare a Londra senza porre rischi alla stabilità finanziari­a dell’Eurozona. La frammentaz­ione che avverrebbe se le clearing houses lasciasser­o la City «non è nell’interesse economico di nessuno», ha detto, e le preoccupaz­ioni europee possono essere risolte «con standard comuni e supervisio­ne cooperativ­a». La disputa è chiarament­e di potere e di interessi economici. Il business dell’euro-clearing la City l’ha conquistat­o pur non essendo una piazza dell’Eurozona, sulla base delle competenze che storicamen­te si concentran­o a Londra, e ciò ha spesso infastidit­o i continenta­li. D’altra parte, che la banca centrale che emette euro voglia avere un controllo sul settore non stupisce. Un compromess­o sarebbe la soluzione migliore. Nel clima che si respira oggi sulla Brexit, di cui questo è un aspetto notevoliss­imo, non è però probabile che ciò si realizzi. Con costi per tutti.

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