«Euro-clearing», colpo di Draghi a Londra: «Più poteri per la Bce»
La Brexit si surriscalda. Non solo a Bruxelles e su una disputa molto concreta. Ieri, a Francoforte, la Banca centrale europea ha preso un’iniziativa che tende a colpire con forza la City di Londra. Il Consiglio dei Governatori ha adottato una raccomandazione che — se accolta come è molto probabile dal Parlamento e dal Consiglio europei ai quali è rivolta — le darebbe lo strumento legale per effettuare direttamente la vigilanza sulle clearing houses della capitale britannica che operano su transazioni in euro, cioè su quelle società intermedie tra chi compra e chi vende titoli, in particolare derivati, che garantiscono la compensazione degli affari e assicurano che vadano a buon fine. Intermediari decisivi per il funzionamento dei mercati, con giri d’affari non lontani dai mille miliardi di dollari al giorno. Che, con la Brexit, la questione diventasse terreno di battaglia era prevedibile. Londra, dove si svolge circa il 75% delle operazioni di clearing sull’euro senza che la piazza faccia parte dell’Eurozona, teme che gli europei vogliano costringere gli operatori a spostarsi sul continente, con una considerevole perdita di reddito. Bruxelles e la Bce sostengono che la regolamentazione e la vigilanza su un’attività tanto delicata debbano essere effettuate dalla banca centrale che emette l’euro e non, come avviene oggi, dalla Bank of England. La settimana scorsa, la Commissione Ue ha presentato una proposta che quando approvata sottoporrà le clearing houses con sede a Londra, e grandi al punto da porre un rischio sistemico, a una serie di regole europee. In casi estremi potrebbero essere costrette a trasferirsi nell’Eurozona. L’iniziativa della banca guidata da Mario Draghi si inserisce in questa offensiva. Da tempo la Bce vuole estendere i propri poteri sul business. Nel 2015, però, la Corte di Giustizia europea aveva stabilito che ciò non era nelle sue competenze statutarie. Ieri, quindi, la banca ha chiesto alla Ue di cambiare l’articolo 22 del suo statuto in modo da potere «stabilire regolamenti» sui sistemi di compensazione e di pagamento (le clearing houses) «nel contesto della revisione del regolamento sulle infrastrutture del mercato europeo (Emir) proposta dalla Commissione». Quattro giorni fa, un membro del comitato esecutivo della Bce, Benoît Coeuré, ha sostenuto che il cambiamento ora è «urgente», data la prossimità della Brexit, e dato che la banca centrale ha pochi strumenti per intervenire in caso di crisi. Lo stesso giorno, il governatore della Bank of England Mark Carney ha invece sostenuto che l’euro-clearing può restare a Londra senza porre rischi alla stabilità finanziaria dell’Eurozona. La frammentazione che avverrebbe se le clearing houses lasciassero la City «non è nell’interesse economico di nessuno», ha detto, e le preoccupazioni europee possono essere risolte «con standard comuni e supervisione cooperativa». La disputa è chiaramente di potere e di interessi economici. Il business dell’euro-clearing la City l’ha conquistato pur non essendo una piazza dell’Eurozona, sulla base delle competenze che storicamente si concentrano a Londra, e ciò ha spesso infastidito i continentali. D’altra parte, che la banca centrale che emette euro voglia avere un controllo sul settore non stupisce. Un compromesso sarebbe la soluzione migliore. Nel clima che si respira oggi sulla Brexit, di cui questo è un aspetto notevolissimo, non è però probabile che ciò si realizzi. Con costi per tutti.