Cucino, posto e butto. Il cibo su Instagram
Ieri ho fatto le orecchiette al pesto. La tovaglietta di lino, i bicchieri comprati in Turchia. Ne ho impiattate 24, con estrema attenzione. Un ciuffo di basilico, tre gocce di salsina: 118 “like” su Instagram. Poi ho buttato via tutto. Perché chi conoscete che mangi carboidrati in giugno? Soprattutto, dopo mezz’ora passata a fotografarle, erano immangiabili. E comunque non so cucinare. Dove finisce tutto il cibo di Instagram? Molto spesso, nella spazzatura. Vi rifletteva la femminista americana Roxane Gay in un colloquio sul nuovo libro Hunger (Fame), memoir del suo rapporto con il cibo e le radici dolorose di un’obesità. «Postano piatti perfetti, poi bevono solo un succo d’aloe». Le sue parole riecheggiano uno studio dell’Università di Washington, che sottolinea come i giovanissimi usino Instagram per forza di volontà. Divorare con gli occhi invece di mangiare. Il social del food porn come il ritratto di Dorian Gray: lui ingrassa, tu no. La prossima volta che vi viene fame, scorrete l’Esplora: è un potente calmante.
Così ci arrampichiamo su una scala per valorizzare, fotografandolo dall’alto, un toast all’avocado. Abbiamo imparato perfino la regola dei terzi. Intanto il toast è diventato molliccio, il mojito annacquato. Perché Instagram è il buco nero della fame negata, e non vedrai mai le (vere) foto di Pringles tra i cuscini del divano. Ed è paradossale che proprio nel momento di “picco del food” diamo al cibo così poco valore. Ciò che non siamo, ciò che non mangiamo.
CostanzaRdO