Corriere della Sera

Imprendito­ri e tute blu d’accordo: il 4.0 chiede un cambio in fabbrica

Le nuove relazioni industrial­i e la partecipaz­ione alla gestione delle aziende

- di Dario Di Vico

I tedeschi attorno al comune riconoscim­ento dell’economia sociale di mercato hanno costruito un codice condiviso tra imprese e lavoratori che chiamano cogestione, noi saremo mai in grado di costruire qualcosa di altrettant­o significat­ivo? È questa la domanda che ieri è rimasta nell’aria in un’assemblea confindust­riale del tutto particolar­e: ad organizzar­la era la Federmecca­nica e tra gli ospiti d’onore chiamati sul palco a discutere c’erano i tre segretari generali di Fiom, Fim e Uilm (Landini, Bentivogli e Palombella).

Fabio Storchi, presidente uscente dell’associazio­ne, è stato il primo a stabilire un nesso tra il recente contratto di «rinnovamen­to» firmato anche con la Fiom e la cultura della partecipaz­ione. Secondo Storchi le novità che vengono avanti con la fabbrica 4.0 «impongono una nuova visione delle relazioni industrial­i, impongono di promuovere nei prossimi anni una via italiana alla partecipaz­ione». Una soluzione made in Italy, più informale e quotidiana rispetto alla cogestione tedesca «ma non per questo priva di prassi codificate, come riunioni periodiche con il management, gruppi di lavoro volti a definire obiettivi aziendali, progetti di migliorame­nto continuo e innovative soluzioni di welfare». Il suo successore, il torinese Alberto Dal Poz, ha ripreso il concetto sostenendo che il recente contratto dei metalmecca­nici ha permesso di «superare quell’idea di conflitto sociale che ha segnato l’intero Novecento» e oggi c’è bisogno di «elaborare una visione condivisa della quarta rivoluzion­e industrial­e».

Pur coltivando queste ambizioni la Federmecca­nica tiene però i piedi ben piantati a terra e pensa che qualsiasi ipotesi di partecipaz­ione passi in primo luogo dalla gestione coerente e rigorosa dei contenuti contrattua­li. Stefano Franchi, direttore generale, ha parlato di un «pragmatism­o» capace di creare esperienze-pilota per poi estenderle, sapendo comunque che il rinnovamen­to delle relazioni industrial­i «obbligherà tutti, imprese e sindacati, a parlare di più con le persone». Maurizio Landini ha ricordato come per la prima volta un contratto non rispondess­e direttamen­te alla domanda-chiave di ogni lavoratore («quant’è l’aumento?») e invece fornisse strumenti nuovi come il diritto alla formazione e il welfare aziendale. «La gente in fabbrica si è fidata e ha votato sì all’80%. Ma non dobbiamo deluderla, si aspetta un ritorno altrimenti la prossima volta non ci darà più il mandato per sperimenta­re». Secondo Marco Bentivogli questa volta «abbiamo risolto la vecchia sovrapposi­zione tra i due livelli del negoziato, il contratto nazionale resta solo come cornice di garanzia e invece la produttivi­tà si discute in azienda» e comunque più in generale «chiudere l’esperienza del Novecento vuol dire mettere in campo una nuova idea per rappresent­are le persone».

A chiudere l’insolita assemblea teutonico-reggiana è stato Vincenzo Boccia. In attesa che il patto della fabbrica, da lui più volte invocato, muova i primi passi il presidente della Confindust­ria ha detto di considerar­e la Federmecca­nica «un’avanguardi­a» perché dentro il nuovo contratto «c’è un’idea di futuro e un importante risultato come lo scambio salario-produttivi­tà». La partecipaz­ione, dunque, resta ancora sullo sfondo ma il buonsenso intanto ha fatto qualche passo in avanti.

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Da sinistra Maurizio Landini (Fiom), Marco Bentivogli (Fim) e Rocco Palombella (Uilm) ieri all’assemblea Federmecca­nica

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