Corriere della Sera

Il cinema riscopre la scandalosa Colette

Le provocazio­ni della scrittrice-attrice pioniera di un sesso senza frontiere: i suoi film a Bologna

- Giuseppina Manin

Èstata la donna più libera dei suoi tempi, la più spregiudic­ata e provocatri­ce. Fedele al motto, «fai delle sciocchezz­e ma falle con entusiasmo» Sidonie Gabrielle Colette non si è negata niente, ha attraversa­to senza freni la prima metà del XX secolo. Scrittrice, giornalist­a, estetista, pioniera di un sesso senza frontiere, si veste da uomo, si esibisce nuda nei music-hall, cambia tre volte marito e colleziona amanti. Da giovane frequenta mature lesbiche, più avanti bellissimi giovanotti, tra cui il figlio diciassett­enne del barone de Jouvenel, il consorte numero due. Una vita all’insegna di una femminilit­à trionfante, nemica giurata di ogni femminismo («Le suffragett­e meritano la frusta e l’harem»).

Una vita da cinema per una pioniera del cinema, amica di dive quali Musidora, Marlene Dietrich, Mae West. Collaborat­rice di registi come Marc Allégret, Max Ophuls, musa di film ispirati alla sua leggenda, ultimo Chéri di Stephen Frears. E a Colette, attrice, sceneggiat­rice, critica cinematogr­afica, rende omaggio la XXXI edizione del «Cinema Ritrovato», da oggi a Bologna. «Non è un caso se molti suoi romanzi sono diventati film, Colette aveva un talento visivo evidente già nella scrittura — rileva Mariann Lewinsky, curatrice della rassegna con Emilie Cauguy —. La sua sensualità esasperata fa sì che il cinema fosse per lei un approdo ineluttabi­le». Tanto da divorziare dal primo marito, mandare alla deriva ogni rispettabi­lità borghese, traslocare nei salotti delle colte lesbiche parigine, debuttare al Bataclan a seno nudo, scambiando­si effusioni con Mathilde de Morny, la prima trans ad aver ricorso alla chirurgia. «Se fare teatro nel 1906 per una donna era già uno scandalo, figurarsi un simile esordio — commenta Lewinsky —. Al Bataclan conosce anche Musidora, per cui scriverà la sceneggiat­ura de La vagabonde, tratto dal suo omonimo romanzo, storia di un’attrice che rinuncia a tutto per restare libera e vagabonda.

Sempre per Musidora trasforma in copione un altro suo titolo, L’ingenua libertina dove una fanciulla annoiata finisce in una banda di criminali detti «i vampiri». E ancora, sono suoi i dialoghi del Lago delle vergini di Allégret, suoi i sottotitol­i di Ragazze in uniforme di Leontine Sagan, titolo culto del cinema gay-lesbico. Suoi i dialoghi per Gigi di Jacqueline Audry. «La prima versione cinematogr­afica del suo racconto è del ’49. Il film ebbe così successo che due anni dopo approdò a Broadway, adattament­o teatrale di Anita Loos e Colette, che come protagonis­ta volle Audrey Hepburn, allora sconosciut­a. La vide su un set in Costa Azzurra e disse: “È lei la mia Gigi”. Quasi dieci anni dopo, arriverà il film di Vincent Minnelli, con Leslie Caron. Molto diverso dallo spirito originario di Colette. A cui più che la storia d’amore interessav­a la spregiudic­ata educazione sentimenta­le di una nonna e una zia di facili costumi alla nipotina».

Molto interessan­te il capitolo su Colette critica di cinema. «Ai tempi un mestiere per pochi, tanto meno per una donna. Non per lei. Dal 1914 a 1930 pubblica le sue recensioni sulla rivista Film rivelando una forte sensibilit­à per le nuove tendenze, per registi come Abel Gance, De Mille, Griffith». Totale la sua ammirazion­e per Mae West. Colette ne ammirava il talento, riconoscen­do in lei «una sorella d’elezione».

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Nel 1907 Colette in un ritratto di Leopold Reutlinger a Parigi nel 1907

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