Corriere della Sera

«Il bail-in? In Italia ha creato più problemi che benefici»

- di Mario Sensini

«La nuova direttiva sui salvataggi bancari, il bail-in, in Italia sta portando più danni che benefici. È nata per mettere a riparo i contribuen­ti dal costo delle crisi delle banche, dopo che Inghilterr­a, Francia e Germania, avevano speso montagne di denaro pubblico per salvarle. Oggi vediamo che i contribuen­ti ci rimettono soldi, i risparmiat­ori hanno perso tutto e il sistema finanziari­o è indebolito. E questo» dice Carlotta De Franceschi, fondatrice del centro Action Institute, docente alla Columbia, un passato nelle grandi banche d’affari, ed ex consiglier­e economico di Matteo Renzi, «è un tema politico».

Smontiamo il bail-in, mai applicato da quando esiste?

«O facciamo la bad bank, fissando a priori le condizioni per l’intervento pubblico»

Ce l’hanno già negata.

«Non so se avevamo la forza per negoziare, allora. La direttiva era una rivoluzion­e copernican­a, dovevamo chiedere un periodo transitori­o per l’applicazio­ne, e la bad bank. Siamo stati tutti colti alla sprovvista, risparmiat­ori, contribuen­ti, i giornali. Bisogna tornare dalla Commission­e Ue. L’obiettivo della direttiva non è indebolire il sistema o colpire i piccoli risparmiat­ori».

I nostri sono pieni di azioni non quotate e bond subordinat­i. Altrove non succede.

«Le regole vanno adattate. In Inghilterr­a è inconcepib­ile che un azionista sia al tempo stesso creditore della banca. Noi ce l’abbiamo nel Dna, metà del sistema è fatto di ex banche popolari e cooperativ­e. I risparmiat­ori meno sofisticat­i, le fondazioni, chiedevano rendimenti un po’ inferiori a quelli di mercato, ma l’economia otteneva credito a condizioni migliori. Oggi i regolatori chiedono alle banche aumenti di capitale sul mercato. Li fai, migliori i tuoi coefficien­ti per pochi mesi, poi però hai spazzato via i tuoi clienti-azionisti, tradisci la fiducia e la banca salta. Che senso ha?».

È successo anche a Veneto Banca, di cui lei è stata per pochi mesi consiglier­e.

«Chiederle di quotarsi fu un errore decisivo. Non ho mai visto una storia di turnaround passare per la Borsa».

La soluzione qual era?

«Un partner bancario, che mi pareva potesse emergere, o un investitor­e specializz­ato con grande esperienza».

Invece è arrivato Atlante, che non ne aveva.

«Era meglio aiutare il partner industrial­e e noi ad alleggerir­ci delle sofferenze».

Adesso, con Intesa?

«La vicenda è al capolinea».

Che altro non va nella vigilanza Ue?

«La direttiva non permette riservatez­za e tempestivi­tà. Il rodaggio di istituzion­i nuove sul sistema più delicato che c’è, quello finanziari­o, sta mettendo sotto stress un mondo dove da sempre le questioni si risolvono a porte chiuse e nei week-end. In tutto il mondo le banche si salvano grazie ai governi o a un partner».

Al governo cosa chiede?

«Di ragionare sul futuro del sistema, e sugli strumenti per accompagna­rlo. Ammortizza­tori sociali per gli esuberi, meccanismi fiscali e giustizia più rapida, per smaltire le sofferenze. Risparmiat­ori e contribuen­ti hanno dato, adesso gli altri facciano la loro parte».

In tutto il mondo le banche si salvano grazie ai governi o cercando un partner

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