Corriere della Sera

ITALIANI

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estiamo la sua memoria. Dov’era il 10 giugno 1940?

«Ero seduto sul sofà, a casa a Torino: ascoltavo alla radio il discorso del Duce con la dichiarazi­one di guerra a Gran Bretagna e Francia».

18 marzo 1981. Aveva paura?

«A quell’età non ti rendi bene conto di cosa significa. Mia madre era molto agitata. Mio padre aveva già fatto la Prima guerra mondiale sul Grappa, come medico di una unità speciale in prima linea: ai tempi i soccorsi erano nelle retrovie, molti soldati morivano di emorragia perché non si faceva in tempo a salvarli».

L’8 aprile 1962?

«Vediamo... Ero a Parigi... È nato mio figlio! C’era un referendum per l’indipenden­za dell’Algeria: feci il collegamen­to Rai di sera».

Non è stato con sua moglie Margherita?

«Sì, ma al mattino, al momento del parto. Abbiamo registrato la nascita di Alberto, l’avevamo fatto anche per Christine, nel ’58».

Esiste ancora la registrazi­one audio?

«Sì, certo. Quelli sono momenti magici, è un’emozione che rimane per tutta la vita. L’ostetrico era vietnamita, si chiamava Levankin, praticava il parto indolore: una tecnica psicologic­a basata sulla respirazio­ne e sulla collaboraz­ione della paziente».

Cambiamo data: 20 luglio 1969.

«Ero a Capo Kennedy per il lancio dell’Apollo 11. Come tutti i lanci era un momento molto rischioso, le mogli e i figli degli astronauti si tenevano per mano guardando questa candela che si alzava lentamente...».

«Quark! In via Teulada: una tenda, pochi oggetti e un po’ di luci».

Il suo Quark si è riprodotto in numerosi cloni. A quale è più affezionat­o?

«A La macchina meraviglio­sa, un viaggio nel corpo umano: avevamo costruito la scenografi­a con foto originali fatte con il microscopi­o elettronic­o. Fu venduto in tutto il mondo».

Studio 18 di Cinecittà. Un’assistente porta il pranzo a Piero Angela, in pausa dalla registrazi­one di Superquark. Lui apre il sacchetto e lo guarda contrariat­o: aveva chiesto per due. Smezza la focaccia con prosciutto e formaggio, farà lo stesso con la banana. Tiene per sé la Coca Cola e cede alla cronista la bottigliet­ta d’acqua. Riceve una telefonata, è per la sua autobiogra­fia: Il mio lungo viaggio. Apre un quadernett­o rosso e detta il numero dell’ufficio stampa Mondadori. Riprendiam­o.

Ci racconti una sua giornata tipo.

«Colazione alle 8: caffelatte e biscotti, uno yogurt. Poi doccia. Quindi mi siedo alla scrivania per leggere. Il mio lavoro è discontinu­o. Ci sono periodi come questo in cui dedico la giornata alla produzione di un programma, altri in cui sto in redazione, altri in cui scrivo libri. Quando voglio rilassarmi, suono il piano».

Il suo mestiere mancato. Quando si decide a incidere un disco?

«Non riesco mai a trovare il tempo! Tra poco andremo al mare, ma lì non posso portare il pianoforte perché si rovina. Però ho amici vecchietti con i quali abbiamo pensato di inciderlo per davvero, un disco».

È vero che ha suonato alla Capannina?

«Sì, ma di Viareggio, non di Forte dei Marmi. Ci pagavamo le vacanze: nel contratto avevamo preteso che a turno potessimo ballare».

Come mai scelse proprio l’Aria sulla quarta corda di Bach come sigla di Quark?

«Vivevo ancora a Bruxelles per la Rai quando andai a sentire i Swingle Singers. Mi piacquero, comprai un disco e trovai l’Aria. Era perfetta: Bach è il mio musicista preferito, l’intreccio delle note è straordina­rio. Poi i Swingle Singers seppero dargli un ritmo jazz senza toccare una nota, e questo prova che Bach era un jazzista. Infine, le sigle allora erano tutte trionfanti mentre io volevo dire: “Calma, distendete­vi”».

«Topolino» le ha dedicato il personaggi­o di Piero Papera. Un asteroide e un mollusco hanno il suo nome. Di cosa va più fiero?

«Ma va ancora avanti questa cosa di Topolino?» (non pare troppo felice). «Qualcuno diceva che il segno della popolarità è quando compari sulle parole crociate…».

E delle 8 lauree honoris causa è orgoglioso?

«Otto? Sono dieci. Sì, sono un riconoscim­ento al mio tentativo di diffondere la cultura scientific­a in un Paese che fa poco».

Tra queste lauree c’è anche quella in Ingegneria che non prese mai?

«No, mi hanno dato quella in Fisica…». (Ride).

Ma allora bisogna rimediare! Suo figlio Alberto disse che lei non l’ha mai

Piero Angela è stato il primo anchorman del Tg delle 13.30 La sera del debutto del nuovo tg serale sul Secondo canale Rai i colleghi del Primo ci passarono la notizia falsa della morte di Moravia. Le raccomanda­zioni? È noto

La tivù e la famiglia Il mio erede? Deciderà la selezione naturale. Ad Alberto ho chiesto di darmi del tu. Se potessi rivedere mio padre gli chiederei se gli piacciono i miei programmi

«Lei si è occupata di tutto, io non ho fatto niente».

Ha recuperato almeno con i suoi nipoti Riccardo, Edoardo, Simone e i due Alessandro?

«Il più grande ha 33 anni, il più piccolo 13. Siamo molto legati, ma di solito i nonni hanno tempo a disposizio­ne, sono pensionati. Io non svolgo quelle funzioni…».

E quando vuole andare in pensione?

(Quasi gli va di traverso la Coca Cola).

Come non detto. In una vecchia intervista del 1988 a «Oggi» disse che il lavoro è la cosa più importante. Lo pensa ancora?

«Famiglia e lavoro sono entrambi importanti. Ma chi è disoccupat­o, vive una situazione psicologic­a molto dura. Quindi è importante avere un lavoro. Se poi si può avere quello che si ama è il massimo».

Lei ha scritto che la salute del cervello conta più di quella del corpo. Ma cosa pensa di persone come Dj Fabo che si sono ritrovate prigionier­e di un corpo ormai spento?

«Sono d’accordo con la sua scelta. Ognuno dovrebbe essere libero di farla, e certamente poterlo fare in Italia sarebbe meglio».

Il telegiorna­le

Ci sono tante analogie tra lei e suo padre, uomo dell’800, antifascis­ta che salvò molti ebrei ricoverand­oli nella clinica psichiatri­ca che dirigeva: anche lui viaggiò, visse in Francia e in Inghilterr­a e lavorò nelle foreste del Congo. Per non parlare del piccolo programma radiofonic­o di divulgazio­ne medica.

«Credo di aver ereditato da lui il piacere di esplorare e scoprire il mondo, anche se in questa cosa del viaggiator­e Alberto ci batte tutti. Papà aveva un carattere molto diverso dal mio, era severo, taciturno, non ho mai visto un riceviment­o a casa nostra. Leggeva Tito Livio e Tacito in latino. Mi è mancato il dialogo: è morto quando avevo 20 anni e fino a quell’età non sei in grado di apprezzare queste cose».

Se grazie a una speciale macchina del tempo potesse incontrarl­o oggi cosa gli direbbe?

«Lo coinvolger­ei nei miei programmi, e gli chiederei se gli piacciono».

Suo figlio Alberto la chiama per nome. Non le dispiace?

«No, gliel’ho chiesto io di chiamarmi Piero, mi piace avere un rapporto di lavoro».

Piatto preferito?

«Vitel tonné».

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