LA «POLITICA DELLE LIBERTÀ» PER CUI RODOTÀ SI È IMPEGNATO
Cinquant’anni fa, Stefano Rodotà terminava la sua prolusione maceratese dichiarando una «profonda e mondana fede nella ragione», ma proponendosi anche di «avventurarsi del gran mare del mondo, dove, anche se con pericolo, si può nuotare liberamente». Quello scritto — manifesto non era solo una invocazione alla fantasia giuridica, fatta con le parole di un grande letterato, ma anche un programma anti-concet tualistico, che assegnava al giurista il compito di indagatore della realtà sociale. Un programma che Rodotà, non ancora trentenne, aveva già cominciato a realizzare con un lungo saggio sulla proprietà (del 1960), che aveva suscitato interesse sia per la nuova interpretazione di un antico istituto, sia per il modo in cui essa veniva esposta (vi era una citazione di Thomas Mann che fece storcere il naso a diversi cattedratici parrucconi).
Dopo questo esordio felice degli anni 60, Rodotà è stato insegnante a Macerata, Genova e Roma, autore di molti libri ed articoli scientifici, collaboratore del Mondo, del Giorno, di Panorama, di Rinascita, di Repubblica, «public moralist», parlamentare, amministratore pubblico (quale presidente del Garante della protezione dei dati personali). Ma tra tante attività, di quella che è stata la sua principale vorrei parlare, quella di studioso.
Uomo con grandi curiosità, di vastissime letture, specialmente non giuridiche, con una solidissima cultura giuridica, cominciò con il sostituire alla «triade formalistica» soggetto – fattispecie – negozio, allora dominante nello studio del diritto civile, la «triade realistica» proprietà – contratto responsabilità, tre temi questi ultimi ai quali dedicò le sue ricerche degli anni 60.
Questi primi suoi lavori miravano a far uscire lo studio del diritto dal «sonno dogmatico», dall’isolamento, dalla
marginalizzazione e dalla sterilità scientifica. Aspiravano a rinnovare la cultura giuridica non solo svecchiandone le categorie concettuali, ma anche richiamando l’attenzione dei giuristi sul modo concreto in cui si struttura l’ordinamento. Demistificando i concetti giuridici, proponevano una legislazione per principi e il ricorso a clausole generali. Questi suoi primi studi avevano anche una tecnica particolare di scrittura, quella di «girare intorno» al tema (presentandolo da diversi punti di vista), e ai modi in cui era stato studiato, per infine «aggredirlo» e penetrarne la più intima struttura.
Con gli anni 70, ha inizio una seconda fase, che si apre con la fondazione della rivista Politica del diritto. In questa fase, Rodotà si mette a esplorare le frontiere della sua materia, il diritto civile, conduce la sua battaglia contro il formalismo, valorizza il ruolo della Costituzione nel vivere civile. In questi anni, i suoi lavori
non sono diretti solo a un pubblico di specialisti, perché riguardano il ruolo del diritto privato nella società, gli elaboratori elettronici, il controllo sociale delle attività private, fino al volume intitolato Alla ricerca delle libertà, del 1978, che apre un nuovo periodo dei suoi studi, nel quale il giurista Rodotà diventa «tout court» scienziato sociale e si interessa — spesso, nello scrivere, con spirito battagliero e radicale che non corrispondeva alla dolcezza, alla riflessività e alla mitezza dell’uomo — di tecnologie e diritti, di tecnopolitica, di privacy e libertà, delle regole che riguardano la vita delle persone, della laicità.
Un ultimo passo avanti è quello dell’ultimo periodo. I libri del primo e del secondo decennio del nuovo millennio hanno per titolo Il diritto di avere diritti, Elogio del moralismo, Solidarietà, Il mondo nella rete, Diritto d’amore. Superate le rigide barriere del diritto, tuttavia egli continua a interessarsi a argomenti stret- tamente afferenti al campo giuridico, declinato nel modo particolare che gli era proprio, con gli studi di bio-diritto e sulle tecnologie dell’informazione.
In questa ultima fase, in particolare, Rodotà è divenuto un combattente sul fronte dei diritti, la cui voce non era più solo diretta al mondo dei giuristi (un mondo nel quale occupava un posto di primo piano), ma al più vasto mondo della società civile, sensibile alla tutela e al progresso dei diritti sociali e delle libertà. Pugnace e combattivo, Rodotà ha svolto un ruolo attivo in quella che lui stesso definiva «politica delle libertà», consapevole del fatto che non basta garantirle nella Costituzione. Ed è per questo che egli verrà ricordato non solo come una grande studioso, che ha aperto nuove strade allo studio della società, ma anche come uno dei più attivi «guerriglieri dei diritti civili» (una espressione da lui stesso coniata nel 1978).